Vita da apicoltore: sui sentieri di notte a spostare le arnie per inseguire i fiori

Max Fabbri nel 2015 ha lasciato il lavoro da pizzaiolo fatto per 27 anni e ha preso la guida dell’azienda avviata dal padre a Borgo Tuliero: 150 casette (ognuna contiene fino a 120mila api). Tutto iniziò con il nonno nel dopoguerra per avere miele in tavola al posto dello zucchero che costava troppo

WhatsApp Image 2022 05 24 At 18.26.55 (2)Fare l’apicoltore significa anche salire su un fuoristrada a mezzanotte per trasferire arnie di api e percorrere tre km di mulattiere a passo d’uomo per non stressare gli insetti. Così Max Fabbri ha trascorso la notte di fine maggio precedente alla nostra telefonata: «Ho completato i trasferimenti a Marradi nelle zone di fioritura delle acacie – spiega il 49enne di Borgo Tulliero –. All’inizio di giugno cominceranno a fiorire i tigli e bisognerà fare i trasferimenti in altre zone».

Si chiama apicoltura nomade: «Seguiamo le fioriture delle piante. Abbiamo delle postazioni già individuate in accordo con i proprietari dei terreni e in base all’andamento delle annate facciamo gli spostamenti al momento più opportuno. Per questo non si può fare programmazione con molto anticipo perché dipende dall’andamento del clima e della natura. Di solito gli spostamenti si fanno ogni 3-4 giorni. Si fa di notte perché tutte le api sono rientrate altrimenti se lo fai di giorno perdi le bottinatrici che vanno a raccogliere il cibo».

Fabbri ha fatto il pizzaiolo per ventisette anni. Poi quel mestiere ha cominciato a non dargli più le soddisfazioni di un tempo e nel 2015 si è messo a fare apicoltura. Ma non è partito da zero. In famiglia le api sono una presenza da tre generazioni: «Cominciò mio nonno nel dopoguerra con 4 famiglie di api che servivano per l’autoconsumo casalingo perché lo zucchero era costoso. Poi negli anni ’80 mio babbo l’ha vista come una fonte di reddito e ha cominciato ad avere un approccio più professionistico arrivando a un centinaio di arnie». Oggi Max ne ha circa 150: ora che sono in piena produzione si contano fino a 120-150mila insetti per ogni alveare e 70-80mila larve in vari stadi. Tutta la produzione è fatta in modo artigianale e viene venduta al dettaglio: «Tutto fatto a mano, comprese le etichette dei vasetti di cui si occupano i miei figli di 13 e 8 anni. Vendiamo soprattutto al mercato di Campagna Amica di Coldiretti a Ravenna e nei mercatini vari».

WhatsApp Image 2022 05 24 At 18.26.55 (3)L’attività annuale comincia di solito tra febbraio e marzo: «Gli alveari cominciano a svegliarsi dall’inverno e li portiamo vicino ai frutteti per uno scambio reciproco: si favorisce l’impollinazione delle piante e le api cominciano la produzione. In questa fase è importante che i contadini facciano trattamenti in modo attento. E poi si arriva al momento della fioritura dell’acacia con cui si fa quasi il 90 percento del reddito perché è il miele più richiesto sul mercato: liquido e trasparente, piace di più anche per le abitudini dei consumatori». Poi si passa al miele delle sementiere: «Di radicchio, di coriandolo, di carota…». Infine il millefiori, da metà luglio a metà agosto: «A quel punto si cavano i melari, che sono la parte superiore dell’arnia dove si accumula solo il miele». E solo in quel momento si scopre davvero da quali piante le bottinatrici sono andate a rifornirsi: «Le api coprono un raggio di 3 km per la ricerca del cibo. Per essere certi di quali nettari ci sono nel miele prodotto servono le analisi di un laboratorio». L’ultima attività dell’apicoltore prima del letargo sono i trattamenti sanitari: «Da tempo ormai è diventata endemica una malattia portata dall’acaro varroa che attacca sistematicamente gli alveari. Infatti per questo non c’è possibilità che un alveare sopravviva spontaneamente in natura per più di un paio di anni».

I ricordi del passato confrontati con l’attualità mostrano quanto è cambiato questo lavoro e quindi quanto è cambiato il clima che è il primo fattore che incide sulla produzione di miele: «Ai tempi di mio nonno ogni arnia in un anno produceva da 30 a 80 kg di miele. Oggi se arriviamo a 30 è un successo. Gli ultimi tre anni sono stati disastrosi, la media è stata attorno a 20 kg».

Le ragioni sono molteplici: «La siccità è un problema perché le api hanno bisogno di acqua. E poi nei campi sono sparite le erbe spontanee, quelle che chiamiamo “erbacce”: non servono all’agricoltura ma sono preziose produzioni di nettare. Infatti una volta erano più produttivi gli alveari in pianura, oggi invece quelli in collina e montagna perché le coltivazioni sono meno intensive. L’apicoltura è bella per questo, perché non c’è nulla di matematico ma è tutto legato alla natura e bisogna saperla osservare».

Fabbri sarà questa sera, venerdì 17 giugno, dalle 18.30 al mercato coperto di Campagna Amica a Ravenna (piazzetta dei Carabinieri, all’angolo tra via Bovini e via Canalazzo) in occasione degli agri-aperitivi e proporrà “Storie di api per bimbi curiosi”: un agrilaboratorio per bimbi dai 3 ai 14 anni per scoprire tutti i segreti delle api attraverso profumi, colori, storie, curiosità e giochi. I bimbi potranno mettere all’opera i cinque sensi ammirando la smielatura in diretta e, ovviamente, assaggiando il miele. 

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