Delitto Minguzzi, il comandante dei carabinieri: «Sospetti su Tasca, lo dissi al pm»

Udienza 3 / In corte d’assise la deposizione di Aurelio Toscano, al vertice della stazione di Alfonsine nel 1987 quando si indagava sulla morte del 21enne: il militare oggi imputato non finì sotto inchiesta. Parole dure sul sottoposto: «Era un poco di buono, uno zoticone»

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Marilù Gattelli rappresenta l’accusa con la collega Lucrezia Ciriello

Il comandante dei carabinieri della stazione di Alfonsine, nell’estate del 1987, arrivò a maturare dei sospetti su uno dei suoi uomini per il sequestro-omicidio del 21enne Pier Paolo Minguzzi avvenuto nell’aprile di quell’anno e lo fece sapere al pubblico ministero titolare delle indagini ma il nome del militare sospettato non finì mai sotto inchiesta. La circostanza emerge a distanza di 34 anni nell’aula di corte d’assise a Ravenna dove oggi, 28 giugno, si è celebrata la terza udienza del processo per il cold case: al banco dei testimoni l’87enne Aurelio Toscano, originario di Reggio Calabria, che all’epoca dei fatti era il maresciallo al comando di Alfonsine.

Il carabiniere sospettato dal superiore era Orazio Tasca, oggi 56enne alla sbarra insieme al collega Angelo Del Dotto (57) e Alfredo Tarroni (65, ex idraulico del paese). Del Dotto e Tasca erano compagni di stanza negli alloggi di Alfonsine.

Il primo a nutrire dubbi su Tasca fu il vicecomandante di Alfonsine. Toscano nella deposizione odierna ricorda quale fu l’indizio del suo collega: «Ascoltando le registrazioni delle telefonate ricevute dai familiari del giovane sequestrato, il mio vice si accorse che il telefonista dei sequestratori usava un’espressione tipica del gergo da carabinieri, una parola che eravamo soliti usare nelle comunicazioni radio». A questo andava sommato che Tasca è originario di Gela con uno spiccato accento siciliano come manifestava il telefonista. Ma non solo: «Tasca era uno zoticone, nei modi con i civili e i militari. Era un poco di buono. Ma in principio come si poteva sospettare che fosse stato lui?».

Poi successe che a luglio del 1987 i tre odierni imputati vennero arrestati per un tentativo di estorsione ai Contarini, un’altra famiglia imprenditori dell’ortofrutta di Alfonsine: nelle fasi finali dell’indagine in una sparatoria rimase ucciso il 23enne carabiniere Sebastiano Vetrano, impegnato nelle indagini sul caso. Toscano si convinse dell’ipotesi a carico di Tasca anche per il precedente delitto Minguzzi al punto di parlarne con Gianluca Chiapponi, il magistrato che conduceva le indagini sui due casi: «Glielo dissi in estate in uno colloquio, gli dissi che in caserma non si parlava d’altro». Per il pm non fu abbastanza.

A tratteggiare il profilo di Tasca contribuisce anche un’altra deposizione di oggi. L’attuale comandante della polizia locale di Gambettola è Maurizio Marchi di Lugo, nel 1984 era un 19enne carabiniere ausiliario assegnato ad Alfonsine: «In caserma c’era un buon clima, tutto sommato eravamo una piccola famiglia e ci aiutavamo a vicenda anche con il cambio dei turni. Tranne con Tasca perché era l’unico che faceva pesare l’anzianità, non parlo di “nonnismo” ma aveva atteggiamenti di un certo tipo nei confronti dei più giovani come me». Marchi conferma un dettaglio: «Tasca aveva un accento siciliano forte e inconfondibile».

Proprio la voce è stata oggetto di una consulenze tecnica richiesta dalla procura. Le indagini sull’estorsione Contarini – quella che a luglio 1987 si concluse con la sparatoria, la morte di  Vetrano e l’arresto dei tre odierni imputati poi condannati per omicidio (pene ventennali scontate)  – accertarono che Tasca era il telefonista. All’ingegnere informatico Sergio Civino è stato quindi chiesto di comparare la voce di Tasca con quella dell’ignoto telefonista del sequestro Minguzzi: sulla base delle competenze dei tecnici e delle analisi informatiche, l’esperto è arrivato a dire che «c’è una forte probabilità che le due voci siano della stessa persona». Anche Civino non ha potuto fare a meno di sottolineare una circostanza tutt’altro che irrilevante, già emersa nell’udienza del 7 giugno: in una telefonata ricevuta a casa di Minguzzi a fine aprile 1987 mentre il giovane era scomparso, il telefonista si sbaglia per due volte e invece di usare il cognome Minguzzi dice prima “Contarino” e poi “Contarini”.

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