Paglia (SI): «Finita l’esperienza di Leu, la sinistra è in fase di ricomposizione»

Il dirigente nazionale ravennate: «In Italia può rigenerarsi solo contro il Pd, non dentro
Alle Amministrative andremo da soli al primo turno»

Giovanni Paglia SIGià parlamentare di Sel nella scorsa legislatura, poi passato a Sinistra Italiana, Giovanni Paglia ha mancato la rielezione con Leu in Parlamento lo scorso 4 marzo ma è rimasto attivamente in politica come dirigente del partito guidato da Nicola Fratoianni.
Partito che nelle settimane scorse ha di fatto votato al proprio interno l’intenzione di non procedere oltre con l’esperimento  di coalizione “Liberi e uguali” che li vedeva insieme agli ex Pd di Mdp.

Paglia, quindi avete fatto fuori Leu? E perché?
«Abbiamo preso atto che da mesi Leu faticava ad avanzare proposte politiche per divisioni interne. Noi avevamo chiesto che entro settembre si avanzassero idee, si discutessero e si votasse, ma questo non è accaduto per una serie di veti e rallentamenti. Avevamo posto sostanzialmente tre condizioni: che a livello europeo Leu non andasse nella famiglia dello Pse, ma in quella delle sinistre, che si riprendesse il processo per unificare chi si riconosce in una proposta di sinistra radicale, che a livello nazionale si lavorasse per costruire e rafforzare una forza di alternativa al Pd. Sono tre condizioni non condivise da Mdp, che non è chiaro cosa abbia in mente. Quindi Leu come l’abbiamo conosciuta fino a qui non può più esistere. A questo punto ognuno faccia la sua scelta, e noi speriamo ovviamente di continuare con più persone possibili».

Ma di fronte a questo scenario politico, la soluzione per una forza che ha preso il 3,4 percento può davvero essere dividersi ancora e restare credibile?
«Fin dagli esordi di Leu noi pensavamo che si dovesse unire tutti senza escludere nessuno, nello spirito del Brancaccio. Nonostante le apparenze, sono fiducioso: è vero che si stiano spaccando esperienze fragili (anche Potere al Popolo si è diviso al suo interno, ndr), ma sono convinto che in realtà da qui a poco si vedrà una fase di ricomposizione della sinistra. Vogliamo unire intelligenze e sensibilità come la nostra e quella di altri partiti, ma ci interessano soprattutto esperienze civiche e movimenti come Diem25, e molte biografie importanti con cui stiamo lavorando, a partire da De Magistris».

Intanto però conquistano potere i cosiddetti “populisti”. Non è preoccupato che alle prossime Europee possa vincere l’asse antieuropeista Salvini-Orban?
«Il modo migliore per assicurare la vittoria dei neonazionalisti è fare la “sacra unione di tutti gli altri”. Peraltro a perderci più di tutti sarebbe proprio l’Italia, perché le uniche politiche di destra che riguardano l’Europa sono politiche antisolidali. Per l’Italia è una proposta masoschistica».

Non sarebbe una ragione di più per cercare di fare argine e magari dar vita a quel “listone” unico proposto anche da Laura Boldrini di Leu qui a Ravenna?
«Il punto è che non abbiamo la stessa idea di Europa e di Italia del Pd. Siamo arrivati dove siamo per le politiche scelte dai Socialdemocratici; il Pd non è un’eccezione rispetto ai neoliberali dei tedeschi, ai socialisti francesi di Hollande o a quelli spagnoli prima di Sanchez. Ci dividono il giudizio sulle politiche di austerità, la concezione dei diritti del lavoro, la centralità della questione ecologica. Inoltre, è un’ipotesi semplicemente mai stata davvero in campo».

Nel 2019 ci saranno anche le Regionali. Anche in quel caso avrete un atteggiamento di “mai con il Pd”?
«Sinistra Italiana sostiene che allo stato attuale non ci siano le condizioni».

Ma quindi per voi che vinca la Lega o il Pd è la stessa cosa?
«Il Pd non è come la Lega. Noi la Lega la vogliamo battere, ma proprio il Pd con la sua linea fa vincere la destra. E non ci interessa allearci per perdere insieme. Noi avanzeremo una proposta sull’Emilia Romagna a breve e dialoghiamo con tutti. Ma se devo allearmi con chi, come la giunta Bonaccini, ha chiuso alla ripubblicizzazione dell’acqua, e continuato con la cementificazione e la chiusura dei piccoli ospedali allora dico no, grazie».

Preferisce insomma perdere da solo, perché senza il Pd mi pare non ci siano speranze per la sinistra.
«Vale anche il discorso contrario: nemmeno ci sono speranze per il Pd senza la sinistra e senza una vera proposta di sinistra, radicale».

E alle amministrative?
«Abbiamo già deciso che al primo turno si va da soli e si valuta poi per il ballottaggio».

In 11 dei 14 comuni del ravennate dove si vota però c’è un turno unico, come in Regione.
«Nei comuni sotto i 15mila abitanti i partiti tendono quasi a scomparire, contano molto le persone, e quindi si può dire che ogni comune faccia storia a sé».

Tornando al nazionale, ma nemmeno se dovesse vincere il congresso del Pd Zingaretti, il candidato ritenuto più a sinistra, potrebbe cambiare il vostro atteggiamento verso i dem?
«Ma se perfino Orlando dice che Zingaretti è anche meno a sinistra di Minniti! Noi abbiamo in mente una sinistra alternativa di sistema, più innovativa, e che ha in mente più proposta radicale, adeguata al XXI secolo e che si ponga fino in fondo la questione degli squilibri generati dal capitalismo. Nel Pd non c’è una leadership che riesca a interpretare la rottura vera né a livello nazionale, né a livello locale. Purtroppo, a differenza di ciò che è accaduto con i socialisti in Spagna o con i Labour di Corbyn nel Regno Unito, qui il Pd è un ostacolo alla rinascita della sinistra, come hanno dimostrato anni di governo».

E però anche i suoi ex compagni di Leu di Mdp, tra cui il senatore ravennate Vasco Errani sono critici verso il Pd e parlano di redistribuzione…
«Sì, magari sarebbe anche ora di capire che le cose non basta dirle, ma bisogna anche farle. Bersani pensa che bisogna aspettare che il Pd dia il calcio d’inizio e poi vedere se ci sono le condizioni. Per me è vero l’opposto. La rigenerazione della sinistra in Italia può avvenire solo contro e non dentro o a fianco del principale partito».

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