Quale disegno condiviso per la Città del Mosaico?

Fausto PiazzaDato che si sta per inaugurare la Biennale del Mosaico Internazionale a Ravenna… Parliamone.
Le polemiche scoppiate qualche mese fa, dopo la presentazione dell’esito di una composizione grafica e di comunicazione per il logo di promozione di “Ravenna città del mosaico” mi hanno un po’ irritato. Per i toni eccessivi, visto che si trattava di un bando “minore” e dai costi pubblici minimali rispetto alle tariffe correnti del settore. E per i contenuti tendenzialmente banali, tipo “fa schifo” (per usare un eufemismo) oppure “non fuzionerà mai”. Allora, non sarà un capolavoro, ma nella sua semplicità e duttilità operativa mi auguro che quel marchio risulti efficace. Però quello che mi ha lasciato perplesso è l’astrazione oggettiva di quel lavoro. Che rischia di essere un esercizio campato in aria, visto che oggi è ancora nebulosa l’identità e la strategia del mosaico ravennate. Si fa fatica a comprenderla ma di questo aspetto fondamentale se ne è parlato poco. Cosa serve un vettore promozionale se non si intravede l’obiettivo da cogliere, l’orizzonte su cui puntare e contenuti precisi da veicolare, con i conseguenti strumenti e risorse da mettere in campo?

Certo vantiamo i favolosi monumenti Unesco, unici al mondo, ma non bastano rispetto a un brand che ci ha già visti famosi oltreconfine. Si è quasi estinta l’era dei maestri del restauro e la capacità di declinare a mosaico l’arte moderna contemporanea, e agli artisti della maturità non sta subentrando quella nutrita nuova generazione di creativi che ci si aspetterebbe. Quella spinta che ha saputo creare un’associazione globale come l’AICM e realizzare addirittura un giardino monumentale fatto di tessere e dedicato alla pace. Negli anni ‘80 la città vantava mezza dozzina di scuole di mosaico fra professionali, accademiche, seminariali e residenziali, legate alla soprintendenza… Oggi resta solo un corso di alta formazione a capo dell’Accademia. Non si è riusciti a costruire un’industria legata a design e moda nel segno del mosaico e ogni rapporto con quella che c’è (la Sicis) è sempre naufragato. Infine, non si è mai progettato un museo organico e di nuova concezione sull’arte e l’artigianato del mosaico, come invece è riuscita a fare Faenza con il MIC per la ceramica.

Per usare la logora metafora delle tessere ne abbiamo ancora tante ma sparse, che non riescono a unirsi e coordinarsi per un disegno complessivo e condiviso. D’altra parte sindaco e assessore alla cultura con delega ne hanno fatto un obiettivo di legislatura e sarebbe bello si muovessero già i primi passi con questa Biennale al via, che appare ricca di spunti e di idee e che si replicherà il prossimo anno. Una base da cui ripartire o quanto meno un’occasione per riflettere sull’immaginifica Domus dei Mille Mosaici…

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