“Il volo“, la ballata del Teatro delle Albe sulla dignità del lavoro

Dialoghi e memorie su Ravenna e il suo porto

Lapide porto ravenna ZanniDebutto nazionale, giovedì 25 giugno al Teatro Rasi (ore 21), del nuovo lavoro del Teatro delle Albe dal titolo “Il volo. La ballata dei picchettini“, presentato in anteprima per Ravenna Festival. Lo spettacolo, una produzione originale di Luigi Dadina, Laura Gambi e Tahar Lamri, porta in scena due storie vere di morti bianche avvenute nel porto di Ravenna e si sviluppa tra narrazione e musica dal vivo. Sul palco, il regista e attore Luigi Dadina sarà affiancato dallo scrittore algerino Tahar Lamri, dai musicisti Francesco Giampaoli e Diego Pasini e dal rapper Lanfranco-Moder-Vicari.

L’idea dello spettacolo nasce da una voce che richiama l’attenzione di Luigi Dadina: è quella di Domenico Mazzotti, morto sul lavoro assieme al collega Marco Saporetti nel marzo del 1947, il cui ricordo è affidato a una lapide posta sotto l’unica gru rimasta in piedi nella vecchia Darsena di Ravenna. Peraltro, questa icona sbrecciata è stata “fissata“ poco tempo fa dal fotografo Adriano Zanni, nell’ambito del suo vasto e conturbante lavoro immaginifico “Cronache e visioni dal Deserto Rosso“, visibile nel suo blog su questo sito.

Gigio Dadina Tahar LamriIl caduto sul lavoro Mazzotti e Saporetti – di cui emblematicamente nella lapide manca anche il ritratto, scomparso nel tempo – sono fantasmi che ritornano fra i vivi per chiedere che la loro storia sia raccontata, «perchè parlare di lavoro, di operai, di incidenti e vite perdute, è ancora necessario» – afferma Dadina, che sottolinea le sue origini di figlio di operai, cresciuto in un villaggio operaio, quello dell’Anic, e per alcuni anni operaio a sua volta.
In scena non ci sono personaggi perchè Dadina e Lamri portano sul palco se stessi come narratori del passato e protagonisti del presente, con l’intenzione non solo di recuperare la memoria ma di trasmetterla alle nuove generazioni, come quella dei musicisti Francesco Giampaoli, Diego Pasini e Lanfranco-Moder-Vicari.

La riflessione sul tempo è il filo conduttore che lega insieme i tre momenti dello spettacolo, svela l’autrice Laura Gambi: «prima c’è il tempo del dubbio e dell’incertezza, la voce di un morto chiama ma non si capisce subito quale sia la sua richiesta, si avverte una mancanza senza riuscire a identificarla; poi c’è il tempo della “ri-memorazione”, in cui si racconta e, attraverso le parole, si rivive la tragedia della Mecnavi, la morte di tredici picchettini soffocati all’interno della nave “Elisabetta Montanari“ nel marzo del 1987; infine c’è il tempo della meraviglia, quello in cui si ritrova il senso delle cose del mondo e di se stessi».
La drammaturgia dello spettacolo è un percorso graduale dalla confusione dovuta alla dimenticanza fino alla chiarezza che deriva dall’aver ricordato, e nel movimento circolare, dal presente al passato per poi tornare al presente, si comprende che la memoria non serve tanto ai morti quanto ai vivi, che per non perdersi hanno bisogno dei punti di rifermento delle storie passate.

La cornice della narrazione è una “conferenza di marzo“, perchè marzo è proprio il mese che ha visto le morti di Mazzotti e Saporetti e degli operai della Mecnavi. I protagonisti si presentano dando le loro generalità: nati ad un giorno, e parecchi chilometri, di distanza, Dadina e Lamri non hanno lo stesso passato ma hanno lo stesso futuro, inevitabilmente legato a quello della loro città, Ravenna. I racconti intimi della vita di Lamri ad Algeri si intrecciano con l’identità ravennate di Dadina, un’identità fluida che viene definita non solo dalle coordinate geografiche ma soprattutto dalle persone incontrate, dalle esperienze vissute. E, come spesso accade, gli occhi dello straniero, che in quanto immigrato non può fare a meno di sentirsi sospeso, qui come ad Algeri, suggeriscono all’autoctono uno sguardo più lucido sulla sua città, non ancora annebbiato dalla familiarità e dall’abitudine.

Tragedia Mecanavi porto di RavennaI narratori sono accompagnati dai musicisti, la cui presenza in scena risponde ad una precisa scelta drammaturgica: “Il volo“ è uno spettacolo corale dove racconto e musica si alternano sostenendosi a vicenda, fino a fondersi nel rap. «Le sonorità, che partono dal blues, evocano sensazioni liquide, che rimandano all’acqua, alla palude, al ventre della nave – commenta il condirettore artistico del Ravenna Festival che ha seguito la genesi dello spettacolo – mentre i testi di Moder si ispirano alla severa e commovente omelia pronunciata in Piazza del Popolo ai funerali pubblici delle vittime della Mecnavi dal cardinale Ersilio Tonini. In particolare dove si denuncia l’esecrabile sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La narrazione diventa così una ballata e il canto assume una dimensione rituale in cui la musica si rivela come cura della memoria e della persona umana».

Sullo sfondo la città, Ravenna, e il porto che ne è fonte di nutrimento e allo stesso tempo luogo di fatica e anche di morte, un organo vitale, come una sorta di visceri, che però i ravennati continuano ad avvertire estraneo, come una parte che non si vuol guardare ma che custodisce l’essenza profonda e i drammi più significativi della comunità. Anche la città subisce lo scorrere del tempo, cambia volto velocemente disperdendo i fantasmi che la abitano, guardiani dei luoghi in cui è rimasto il segno delle generazioni che l’hanno cresciuta. E allora tocca alla memoria restare salda e alle nuove voci raccontare le vecchie storie.

Lo spettacolo si avvale delle scene, dei costumi e delle luci di Piero Fenati ed Elvira Mascanzoni, storici soci fondatori di Ravenna Teatro. Dopo il debutto al Ravenna Festival
“Il Volo“ andrà in scena a Milano il 27 e il 28 giugno (al teatro “La cucina”, per il festival “Da vicino nessuno è normale”) e a Codevigo-Padova, il 5 luglio per il festival “Scene di paglia”, diretto da Fernando Marchiori.

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