«Avvocata è giusto, è questione di abitudine. Ma la rigidità è anche tra le donne»

Eva Giovannini, inviata di Rai Tre, sarà l’1 settembre sul palco della festa nazionale dell’Unità a Ravenna per moderare un incontro dedicato a diritti e Europa con Laura Boldrini, Roberta Pinotti, Barbara Pollastrini e Benedetta Fiorini

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Eva Giovannini

«Avvocata è giusto, non c’è nulla di cacofonico. Ci sembra normale dire infermiera e non ingegnera per questione di abitudine, perché ci portiamo dietro un passato in cui le donne non avevano le possibilità di fare le ingegnere». Eva Giovannini sa di cosa parla perché con le parole ci lavora e la questione di genere la considera una questione non solo femminile ma di cultura di un Paese intero: l’inviata di Rai Tre (nella squadra di Cartabianca la scorsa stagione) sarà a Ravenna sul palco della festa nazionale dell’Unità per moderare l’incontro dal titolo “Diritti e pari opportunità per una nuova Europa” (1 settembre alle 18.30). Ospiti del confronto saranno l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, l’ex ministra della Difesa Roberta Pinotti, l’ex ministra delle Pari opportunità Barbara Pollastrini e la deputata di Forza Italia Benedetta Fiorini.

Giovannini, cosa vorrebbe che arrivasse dal palco al pubblico?
«A maggio si terranno le elezioni europee, mai così importanti per il futuro del Vecchio Continente. E dalle persone sul palco vorrei sentire cosa significa lavorare per un’Europa davvero democratica pur avendo un gap salariale così ampio tra uomini e donne, vorrei che mi dicessero la loro opinione su integrazione o disintegrazione dell’Europa. Parleremo della questione di genere in Europa ma anche di Europa in generale».

Si parlerà di questione femminile e sul palco ci saranno solo donne. Questo fa bene alla causa?
«Sono contenta di parlare con personalità che possono parlare di questi temi non solo perché donne ma perché sono o sono state protagoniste nei loro campi.  Quando mi capita di moderare un dibattito femminile aupisco sempre che ci siano interventi di uomini, magari dal pubblico. È importante capire che il gender gap non è un problema delle donne e sbagliamo se lo raccontiamo come tale: è un problema della società, dell’economia, del Pil, della cultura di un Paese».

Tra le relatrici ci sarà Barbara Pollastrini, ministro per le Pari opportunità dal 2006 al 2008. Nell’attuale Governo Conte, come nei precedenti Governo Gentiloni e Governo Renzi, la delega è affidata a un sottosegretario e non c’è un ministero. È una mancanza grave o la sensibilizzazione passa più da altre cose?
«I simboli come un ministero dedicato possono essere una delle vie. Però per me rimane centrale la politica che si attua, sia che la faccia un ministro o che la faccia un sottosegretario. Ci sono stati ministri che hanno fatto ben poco…».

Favorevole al principio delle quote rosa?
«Sono combattuta. Vorrei svegliarmi in un mondo in cui non sono necessarie quote di nulla. Ma prendo atto che dove oggi c’è un’oggettiva parità di genere si è passati da questa forzatura per cambiare le cose. Però là, ad esempio le regioni scandinave, è stato fatto con qualche decennio di anticipo…».

Le parole sono importanti, a maggior ragione per chi fa giornalismo. Quindi avvocata e sindaca? Condivide la battaglia lessicale?
«Non sono una pasdaran del tema ma credo non sia da sottovalutare. È veramente tutta una questione di abitudine. Ci sembra normale dire infermiera e non ingegnera perché ci portiamo dietro un passato in cui le donne non potevano fare ingegneria. Quindi dire avvocata è giusto, non c’è nulla di cacofonico. Poi non si capisce perché ci sia un’ideologia conservatrice su questi termini ma nessuno si scandalizza quando sente linkare o twittare: la lingua si modifica».

L’ideologia conservatrice è tutta maschile?
«No, la rigidità non è solo tra gli uomini. Molte donne si sentono più legittimate se la desinenza della loro professione è in O. Natalia Ginzburg voleva essere chiamata scrittore e non scrittrice perché a quel tempo scrittrice voleva dire letteratura femminile che era meramente intimista e tendendente alla malinconia e non era la sua letteratura. Alla Ginzburg dirsi scrittore poteva servire per affermare la sua posizione ma oggi le cose sono cambiate».

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Eva Giovannini

A proposito di twittare e linkare, le nuove tecnologie potranno o già possono avere un ruolo a favore della parità di genere?
«I social network hanno aperto spazi per lavori prima inesistenti, anche a molte donne che stanno sfruttando in maniera esemplare la tecnologia. In questo senso internet può dare ottime opportunità alla questione però tutto dipende dall’uso. Una delle ospiti dell’incontro, Laura Boldrini, via social ha ricevuto offese, insulti e minacce di ogni genere. Quindi se usi i social per scatenare una shitstorm attorno a una persona verrebbe da dire che non sono utili. È difficile essere manichei in questo, non si può dire se sono bene o sono male: dipende dall’uso. E per questo serve alfabetizzazione sugli strumenti. Che non significa titoli di studio. Ho fiducia nelle nuove generazioni»

E il giornalismo inteso come settore come tratta le donne?
«È una fetta della società quindi non c’è motivo per cui sia dissimile: troppo spesso a dirigere i giornali sono uomini mentre nelle segreteria di redazione la piramide si ribalta. Bene sta facendo Michela Murgia che segnala quando una donna non scrive in prima pagina o scrive solo di temi prettamente considerati femminili. Per la mia esperienza posso dire che lavoro per una rete che su questi temi può considerarsi una buona case history: a condurre le trasmissioni di politica sono quasi tutte donne. Ma non significa che tutto vada bene».

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