L’allarme dell’Unicef: «Sempre più minori non hanno accesso a sport, teatri, musei»

La presidente del comitato ravennate: «La povertà si vede anche nelle nostre città, ma sta aumentando anche quella “educativa”»

Foto Borghi

Mirella Borghi, presidente di Unicef Ravenna

Incontriamo Mirella Borghi, a lungo responsabile dell’Ufficio Progetti e Qualificazione Pedagogica del Comune di Ravenna e oggi presidente di Unicef Ravenna, in un momento decisamente critico per la vita di tanti minori, che vedono il loro futuro, e la loro stessa vita, minacciati da conflitti, povertà, disastri ambientali.

 

Mentre parliamo, tuttavia, si affaccia un ragazzo. Circa 25 anni, studente universitario, si è appena trasferito a Ravenna e ci terrebbe a rendersi utile collaborando con l’Unicef. Mentre gli vengono illustrati i progetti cui potrebbe dare un contributo, non possiamo non considerare come, in mezzo a tanta sofferenza, ci siano anche tante persone di buona volontà, disposte a uscire dalla loro quotidianità per rendere questo mondo un posto migliore.

Partiamo da qui, dottoressa Borghi: su quanti volontari attualmente fate affidamento sul nostro territorio?
«Il gruppo di chi collabora stabilmente con noi è composto da circa 15 volontari/e. Ma abbiamo una rete più estesa di persone, circa 100, che ci aiutano su determinati progetti, ad esempio realizzando le Pigotte (caratteristiche bambole di stoffa che Unicef distribuisce per sostenere la costruzione di pozzi, l’acquisto di vaccini e alimenti terapeutici)».

Oltre a sostenere progetti internazionali, in che modo Unicef è presente sul territorio?
«Unicef, come fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, nasce come istituzione vocata a far fronte a emergenze internazionali, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Ma sempre più stiamo spostando lo sguardo anche sulla situazione nazionale e locale. Stiamo progettando un sistema di monitoraggio delle criticità sul territorio. Sempre più, infatti, la povertà assoluta coinvolge anche bambini che vivono nelle nostre città. Vorrei, inoltre, porre l’attenzione sulla cosiddetta “povertà educativa”, assai più diffusa: parliamo di minori i cui bisogni essenziali sono soddisfatti, ma che non hanno accesso a libri, sport, teatri, musei. Ciò pregiudica notevolmente il loro futuro».

Quest’anno ricorre il trentennale della Carta Onu per i diritti dell’infanzia. Come intendete celebrarlo?
«In collaborazione con il Comune, la Carta, nella sua versione semplificata e adattata per i più piccoli, viene distribuita nelle scuole primarie. Inoltre organizziamo costantemente incontri nelle scuole per discutere direttamente con i ragazzi e le ragazze. In occasione della Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze, l’11 ottobre scorso, abbiamo voluto parlare con loro di questioni particolarmente dolorose, come i matrimoni precoci o le mutilazioni genitali femminili. Sono incontri rivolti a ragazzi e ragazze tra i 10 e i 14 anni, e naturalmente stiamo molto attenti a non turbarli eccessivamente, ma la loro risposta è straordinaria: sono molto interessate a ciò che accade alle loro coetanee in alcune parti del mondo. Inoltre facciamo parte del tavolo degli organizzatori della Festa del Diritto al gioco».

Il clima di diffidenza verso gli stranieri ha influito sul modo in cui i ragazzi affrontano queste tematiche?
«Quando parliamo della Carta dei Diritti dell’Infanzia ci è capitato di sentirci domandare: “Ma perché loro (intendendo i bambini stranieri) hanno tutti i diritti e noi invece no?”. È evidente che il modo in cui si percepisce il mondo è mediato in parte dalle famiglie, ma la naturale curiosità e le minori sovrastrutture dei bambini ci permettono di affrontare temi spinosi come le disuguaglianze e l’universalità dei diritti».

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