Pandemia, la psicologa: «È tempo di consolazione e cura. Ne usciremo tutti cambiati»

Paola Bianchi risponde alle nostre domande sugli effetti della paura del virus e il lungo periodo di “quarantena” a cui tutti siamo chiamati, in famiglia o da soli, e su come gestire l’inevitabile ansia del momento

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Paola Bianchi, psicologa del centro Liberamente di Ravenna

Insieme all’aspetto prettamente sanitario, a quelli economici e sociali, l’emergenza per il Covid-19 e tutte le misure prese per contenerlo hanno inevitabilmente un risvolto anche psicologico. Ne abbiamo parlato (a distanza) con Paola Bianchi, psicologa e psicoterapeuta con un’esperienza di oltre vent’anni alle spalle e fondatrice del centro Liberamente, a Ravenna.

Innanzitutto, gli psicologi stanno lavorando? Stanno facendo le sedute normalmente? Si stanno sperimentando nuove modalità a distanza?
«Come professionisti della salute psicologica l’attività professionale può continuare a svolgersi rispettando il più rigoroso rispetto delle misure igienico-preventive indicate dal Ministero della Salute. Tuttavia ho ritenuto opportuno aderire alle indicazioni dell’Ordine Psicologi di privilegiare le attività online invitando le colleghe del centro di cui sono la responsabile a fare altrettanto. Stiamo svolgendo in via prioritaria attività online di consulenza, monitorando costantemente l’andamento di ciascuna situazione. Ogni caso è una storia a sé e al di là della soggettività a volte concretamente non è possibile svolgere sedute virtuali per mancanza di privacy, ma credo sia un momento in cui mai come ora sia importante far capire ai propri pazienti che siamo loro vicini e se anche con modalità diverse garantiamo la nostra presenza».

Un momento per molti di paura e solitudine. Chi sono le persone psicologicamente più a rischio, che vi preoccupano di più?
«Siamo di fronte a un evento inaspettato e imprevedibile. Abituati a una quotidianità scandita da impegni di lavoro, studio, incontri, relazioni, scambi, ritmi veloci e soprattutto libertà di muoverci, siamo passati ad annullare tutto ciò. Abbiamo ribaltato la nostra situazione tipica tutta proiettata fuori a una vita tutta dentro. Generalmente siamo tutti un po’ostili al cambiamento, ma quando questo avviene senza essere preparati crea ancor più disagio, quindi mi sento di dire che una certa dose di ansia e paura è del tutto fisiologica. Ma ci sono persone che possono sentirsi fortemente minacciate da un pericolo che non riescono a definire, controllare, che presenta aspetti di invasione e persecuzione. Il senso di instabilità, fragilità e insicurezza diventa allora dilagante, senza argini sufficienti a collocare i nostri pensieri nella giusta dimensione e spesso arriva un’angoscia pervasiva che non lascia spazio ad altro. Dall’altro versante ci sono persone che negano ed evitano di affrontare il problema. Sono entrambe manifestazioni difensive che appartengono al nostro funzionamento psichico».

La convivenza in casa dentro un nucleo famigliare a cosa può portare? Può essere un’occasione per trascorrere più tempo insieme, ma anche per far emergere conflitti e difficoltà? Come gestirli?
«Le famiglie sono rivoluzionate certamente e gli equilibri possono slatentizzarsi, per non parlare delle famiglie disfunzionali dove il rischio di tracollo è molto elevato. Tutti noi operatori, e mi riferisco anche al servizio pubblico, siamo chiamati in questo momento a monitorare con molta attenzione queste situazioni. La maggior parte delle realtà invece possono essere espressione di un funzionamento che può veicolare un nuovo senso della convivenza familiare, sia per chi vive in coppia e anche per chi ha figli. È un momento in cui la privazione della libertà esterna non ci priva della libertà interna di ricostruire il nostro tempo, restituendo attenzioni e cura che spesso abbiamo dimenticato l’uno per l’altro. È tempo dell’attaccamento, della consolazione, della cura, della riflessione, del dialogo. I conflitti possono emergere, è naturale ma li possiamo gestire attraverso un ascolto attivo, anche in questo caso non dimentichiamo mai che esiste un io, un tu e un noi che sono strettamente connessi fra loro».

E chi vive solo?
«Rimanere isolati in casa, non poter frequentare luoghi pubblici, ridurre drasticamente la vita sociale può essere più faticoso per chi vive solo soprattutto per chi non è abituato a stare da solo, diciamo per chi non ha un buon rapporto con se stesso. Nell’immaginario collettivo si ferma la vita, sento molti che dicono ad esempio che c’è troppo silenzio! Settimane di isolamento dal contatto con l’altro possono risultare complicate e può essere che si vada verso una deriva depressiva. Occorre saper tracciare un confine a queste esperienze, uscire dallo stato di spaesamento attraverso una riflessione su noi stessi, ma anche agendo concretamente, facendo cose pratiche. Sistemare il proprio spazio esterno, la propria casa a volte aiuta molto a sistemare anche il proprio spazio interno. In questo tempo sospeso arrivano spesso soluzioni creative che diversamente non si manifesterebbero».

Chi soffre di più questa situazione secondo lei? Bambini, adolescenti, giovani che ancora vivono con i genitori, anziani?
«Ritengo che tutti in qualche modo soffriamo di questa condizione. Le variabili di questa sofferenza dipendono naturalmente dal ciclo di vita: un bambino non ha lo stesso apparato psichico di un adolescente o di un anziano e farà fronte alla situazione con gli strumenti di cui dispone. Ai bambini va spiegata la situazione con modalità opportune e le figure di accudimento sono fondamentali. I bambini per esempio sono più sensibili al cambio di abitudini rispetto a un adulto. Gli adolescenti tenderanno a ricercare il bisogno di socialità rivolgendosi al gruppo dei pari e incentivano sicuramente l’utilizzo di cellulari o altri mezzi. Gli anziani ricercheranno più conforto e sostegno. Vanno rassicurati anche se è vero che hanno una lunga storia alle spalle e hanno sicuramente impattato in situazioni drammatiche di vita e di morte e la loro opinione ed esperienza può essere di aiuto ai più giovani. Trovo encomiabile l’impegno dell’amministrazione comunale che ha contattato tutti i nostri over per verificare lo stato di bisogno».

Per molti è un momento di grande ansia. Come gestirla?
«Innanzitutto dobbiamo cercare di mantenere una posizione realistica, emotivamente equilibrata e per fare questo dedichiamo un paio di momenti nella giornata all’informazione e aggiornamento dai canali accreditati. Per il resto manteniamoci occupati a fare altro e anche a non fare nulla se vogliamo, ma sempre scandendo il tempo e i ritmi delle giornate».

Per vivere meglio la “quarantena” in casa è meglio darsi una routine o prendersi invece un tempo un po’ senza regole?
«Se in tempi non sospetti ci lamentavamo che non c’era mai tempo ora che ne abbiamo tanto a disposizione usiamolo! Vero è che di fronte a eventi così sconvolgenti siamo portati in prima istanza a negare la gravità della situazione poi ad arrabbiarci perché comporta limitazioni e cambiamenti notevoli, poi si cerca di negoziare e farcela andare bene. Infine ci si rassegna e mi auguro arrivi presto il momento in cui si accettano le norme e la situazione e si inizia a convivere in maniera più serena e costruttiva. Quindi recependo il metamessaggio che questo evento endemico sta generando; credo che mai come ora sia vera l’affermazione “in medio stat virtus”: va bene seguire una routine ma anche il proprio sentire perché il richiamo a cui tutti siamo tenuti è quello della misura, dell’equilibrio, della responsabilità e della cura per noi stessi e per la comunità».

Secondo lei, alla fine di questa esperienza, come saremo cambiati in termini di relazioni interpersonali? C’è il rischio che si sia diffusa anche la paura dell’altro?
«Questa è una situazione del tutto inaspettata e inedita che ci costringe a cambiamenti drastici e repentini per fronteggiarla. È accaduto qualcosa che ha reso possibile quello che solo qualche mese fa era impensabile. Per questo non possiamo che uscirne trasformati, perché già lo stiamo facendo. Il come mi è più difficile definirlo. Si può ipotizzare che questo Covid-19 dall’entità astratta e invisibile abbia certamente un valore simbolico elevato, cioè può contenere le nostre più grandi paure e che per controllarlo sia più semplice identificarlo con qualcuno. Ma è anche vero che questo virus ha fatto precipitare in men che non si dica l’ideologia del muro e dei confini, riportandoci tutti con uno starnuto giù per terra nel vero senso della parola. E dalle cadute ci si rialza imparando sempre qualcosa di più, rivedendo il senso del nostro vivere, ristabilendo un contatto profondo con noi stessi e il mondo a cui tutti indistintamente apparteniamo, facendo i conti con la nostra reale fragilità di esseri umani. E allora mi piace pensare che anche per la società in un piano esteso accada ciò che si verifica in terapia su un piano soggettivo, dove ci sono momenti di crisi nella vita della persona in cui tutto sembra crollare. Ma è da lì che si riparte e si lavora duramente e con impegno finchè arriva un momento in cui si volta pagina e ci si accorge che il pesante fardello di sofferenza e angoscia del passato è diventato un ponte per superare il guado e allora sì che ci ritroveremo veramente trasformati».

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