“Rumore bianco”, un buon film fedele a DeLillo, ma non un capolavoro

Rumore Bianco Film

Siamo felici di accogliere qui la rubrica, nata per la nostra rivista “R&D Cult”, di Albert Bucci.
Albert è direttore artistico del “Soundscreen Festival” e in questo spazio dedicato al cinema si alternerà con il nostro collaboratore storico Francesco Della Torre e la sua rubrica “Visibili e Invisibili” che vi aspetta quindi già la prossima settimana.

Film dì apertura di Venezia 2022 è stato, in concorso, l’attesissimo White Noise – Rumore Bianco di Noah Baumbach, tratto dal mitico libro di Don DeLillo, con interpreti Adam Driver, Greta Gerwig e Don Cheadle. Di Baumbach ricorderete gli ultimi film The Meyerowitz Stories (2017) e Storia di un matrimonio (2019) e che è stato co-sceneggiatore di Wes Anderson per Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004) e Fantastic Mr. Fox (2009).

Storia (del film e del libro): anni ’80 in America. Jack Gladney è un eccentrico professore universitario, massimo esperto su Hitler, che vive insieme alla quarta moglie Babette e ai figli. La loro vita è sconvolta da una catastrofe ambienta- le, una nube tossica dagli effetti imprevedibili su Jack; intanto, Babette soffre di sempre più frequenti problemi di memoria… Su tutto, l’ipnotica assurdità della vita quotidiana; i tentativi di decodificare i “segni” del mondo nel cupo ronzio di informazioni di cui sfugge il significato; e una sempre più crescente ansia di Morte che colpisce tutti. Rumore bianco è l’informazione degradata e caotica, visivamente data dal groviglio di pixel di una Tv non sintonizzata. L’idea centrale di DeLillo è che l’eccesso di informazione non è più conoscenza, ma è overdose, apocalisse, la morte in forma di deja-vu. E questo processo post-moderno in cui è cambiato il modo di percepire la realtà nasce a partire dalla famiglia. DeLillo scrive: «La famiglia è la culla della disinformazione mondiale. Nella vita di famiglia dev’esserci qualcosa che genera gli errori di fatto. L’eccesso di vicinanza, il rumore e il calore dell’essere… Più a fondo investighiamo nella natura delle cose, più incerta può sembrar diventare la nostra struttura. Il processo familiare tende a escludere il mondo». Questa idea della famiglia coincide con quella di Baumbach.

Il film segue fedelmente trama, struttura e dialoghi del romanzo; le relazioni disfunzionali che Baumbach ha sempre amato raccontare sono una lucida messa in scena delle fragilità e delle paranoie delle famiglie contemporanee per le quali Dio è morto, e con lui l’American Dream. Regia e prove attoriali sono ben coerenti. Un buon film, insomma; che purtroppo non è capolavoro perché si limita a esplorare le relazioni tra esseri umani senza toccare il problema universale dell’esistenza e della conoscenza: ciò che ha reso grande il romanzo, ma che Baumbach non riesce (o forse non vuole) sviluppare.

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