La Soprintendenza esorta il Comune «Serve la Carta delle potenzialità archeologiche»

Il dirigente Giorgio Cozzolino e il funzionario Massimo Sericola parlano del loro ruolo e dei rapporti con le amministrazioni locali

Kennedy

Scavi archeologici in piazza Kennedy con i resti della chiesa di Sant’Agnese

C’è ancora aria di passaggio di consegne negli uffici della Soprintendenza di Ravenna che, nell’ambito della riorganizzazione del ministero dei Beni e delle attività culturali, dall’estate del 2016 ha acquisito competenze anche in materia archeologica, precedentemente in capo a una sola soprintendenza su base regionale. Oggi quella di Ravenna – diretta dall’architetto Giorgio Cozzolino – è responsabile di tutta la Romagna e dal dicembre 2017 a occuparsi del ramo archeologico è Massimo Sericola, insieme ad altri due funzionari.

«Prima del suo arrivo – dice Cozzolino – siamo andati avanti esclusivamente grazie allo spirito di sacrificio, con funzionari che da Bologna si occupavano della Romagna praticamente a spese proprie, non essendoci fondi. E le difficoltà della riorganizzazione non sono ancora risolte, basti pensare all’archivio che è ancora tutto a Bologna, in attesa di trovare fondi e spazi a Ravenna. E potrà immaginare le difficoltà per un lavoro come il nostro, senza un archivio a portata di mano…».

Qual è il compito di una Soprintendenza Archeologica?
«Innanzitutto c’è un lavoro di tipo amministrativo, legato alla tutela. Poi riceviamo richieste dall’esterno: autorizzazioni, pareri, tutto ciò che concerne l’attività di verifica. E infine c’è tutta la parte autorizzativa: espressioni di pareri su interventi che vengono svolti sul territorio. Il tutto finalizzato alla salvaguardia del patrimonio archeologico, anche e soprattutto dal punto di vista della cosiddetta “archeologia preventiva”, una serie di strumenti che aiutano a comprendere qual è il potenziale della stratificazione archeologica, del patrimonio che ci si può aspettare che emerga in un determinato intervento, cercando quindi di intervenire prima e non durante l’opera».

Praticamente, la Carta delle potenzialità archeologiche…
«È uno strumento fondamentale e ne auspichiamo una veloce approvazione, perché molti Comuni anche limitrofi ce l’hanno. La collaborazione con quello di Ravenna era partita con una serie di incontri, poi evidentemente l’Amministrazione ha deciso di rallentare perché non siamo più stati coinvolti, ma crediamo che ora la macchina si sia rimessa in moto (ne parliamo nella pagina a fianco, ndr)».

Perché questa carta è così importante?
«L’attività di prevenzione è fondamentale per assicurare da un lato la speditezza dei lavori, e quindi di investimenti senza intoppi e perdite, dall’altro per avere la garanzia che eventuali reperti siano conservati, senza bisogno di scavare. Il nodo riguarda l’attività dei privati, perché non esiste una normativa specifica, se non quella classica sull’obbligo di comunicare rinvenimenti fortuiti, e in quel caso interveniamo in cantiere. La carta delle potenzialità archeologiche invece viene recepita all’interno della pianificazione urbanistica che quindi impone per qualsiasi intervento norme che chiunque deve rispettare (a seconda del potenziale archeologico, che può avere diversi livelli) e l’obbligo di comunicazione degli elaborati progettuali con un certo grado di anticipo alla Soprintendenza che poi dovrà decidere. Diversamente, se gli interventi come succede oggi vengono autorizzati dall’ente locale, la Soprintendenza potrebbe non venirne neppure a conoscenza (vedi il caso dell’ex concessionaria Francia, ndr), con tutto quello che ne consegue in caso di ritrovamenti fortuiti, ossia cantieri bloccati, ritardi, costi aggiuntivi…».

Venendo ad alcuni temi d’attualità, fino a poco tempo fa a Ravenna erano diventati tutti archeologi grazie ai ritrovamenti di piazza Kennedy…
«Abbiamo ricevuto da poco la relazione di scavo conclusive e troveremo il modo di divulgare e valorizzare da un punto di vista storico-scientifico ciò che è stato scoperto».

Soprint

Il dirigente della Soprintendenza di Ravenna, Giorgio Cozzolino (a sinistra) e il funzionario Massimo Sericola

Ma in ogni caso non è diventata una piazza archeologica, come aveva auspicato invece anche il sindaco ai tempi, Fabrizio Matteucci…
«Se fossimo nel Texas, o in un posto con scarsità di reperti, di testimonianze della storia, l’avremmo capito. Ma l’Italia è piena di vetrine appannate e cartelli sbiaditi. La valorizzazione auspicata da tanti necessitava di una progettazione economica chiara a medio termine. La valorizzazione è legata alla conservazione, e nel momento in cui non ci sono i soldi nemmeno per la manutenzione, conviene ricoprire e valorizzare i dati ottenuti. In piazza Kennedy eravamo in presenza di una chiesa di cui si conosceva praticamente tutto. Si poteva scavare oltre, forse, ma non era necessario perché quella era la riqualificazione di una piazza, non uno scavo archeologico».

Chi ha pagato i costi in più?
«Il committente era il Comune e l’attività archeologica è stata finanziata dal Comune di Ravenna. I costi fanno parte dell’opera (complessivamente l’investimento è stato di oltre mezzo milione di euro in più del previsto a carico del Comune, il resto è stato finanziato dalla Fondazione del Monte, ndr)».

Siete voi i “colpevoli” dei ritardi del progetto del nuovo mercato coperto?
«Non crediamo proprio, anche perché lì l’indagine archeologica era prevista e quindi doveva essere tenuta in conto nelle tempistiche. Non è poi emerso nulla di così meritevole da essere lasciato a vista e lo scavo si è limitato giusto a quanto necessario per nuove fondazioni».

Arriviamo al museo di Classe, cosa ne pensate dell’accordo sui reperti della Soprintendenza da cedere alla fondazione Ravennantica per l’allestimento?
«È deciso che il ministero contribuirà in parte alla costruzione dell’allestimento: l’accordo è stato fatto a livello altissimo, non ci hanno consultato. Ne prendiamo atto e lo rispetteremo. Di per sé è un progetto importantissimo e ha la fortuna di nascere con spazi, attrezzature, logistica che tanti direttori di museo invidieranno. Il timore è che questi anni di ritardo possano aver portato a difficoltà nella sua realizzazione».

Ma non rischia di “svalutare” il museo Nazionale?
«Sarà necessario, e non abbiamo dubbi, un gioco di squadra, di rimando: il visitatore che va a Classe dovrà essere incuriosito ad approfondire con una visita al Nazionale, ci auguriamo che nasca una nuova rete in grado di far bene a tutti…».

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