Jelinek, le parole appese agli attori

Un festival itinerante curato da Elena Di Gioia

Elfriede JelinekPer la rassegna di teatro contemporaneo Ravenna viso-in-aria, fa tappa all’Almagià il festival “Focus Jelinek”. L’appuntamento è per martedì 3 febbraio alle 21 con una puntata di Radio Zolfo, a cura dei critici di Altre Velocità e condotta da Lorenzo Donati, con la partecipazione di Ateliersi, Fanny & Alexander, Teatri di Vita e Elena Bucci. Nel corso del breve dibattito verrà approfondita la figura della scrittrice e drammaturga Elfriede Jelinek.

A seguire, In disparte, lettura di Elena Bucci. Si tratta del discorso che la Jelinek ha pronunciato per il conferimento del premio Nobel per la letteratura nel 2004. La scrittrice non è andata a ritirare il premio a Stoccolma e ha inviato un video in cui lei stessa, davanti a un leggìo, legge il discorso.

L’evento fa parte di un festival itinerante negli spazi di ricerca teatrale dell’Emilia Romagna, a cura di Elena Di Gioia, che di seguito racconta la genesi e gli obiettivi di questo inedito progetto culturale.

Non fa più alcuna vita sociale, non viaggia, non frequenta amici, non va a teatro a vedere i suoi testi messi in scena, non va al cinema, non vive più nemmeno con il marito, che vede solo uno o due mesi all’anno. Elfriede Jelinek soffre di una grave forma di sociofobia. Da anni il suo unico contatto con il mondo è la sua scrittura. Elfriede Jelinek ha ricevuto il Premio Nobel nel 2004. Anche in quella occasione non si è presentata, ma ha scritto un testo memorabile in cui ammetteva pubblicamente che tutti hanno la bocca e dunque possono muovere la lingua mentre lei è l’unica a non riuscire a usarla per parlare. Alla sua scomparsa dal mondo si è in qualche modo sostituita Elena Di Gioia che ha creato attorno ai testi della scrittrice il Focus Jelinek, un festival articolato in sei mesi con sedici spettacoli messi in scena nei teatri dell’Emilia-Romagna da compagnie emiliano romagnole.

Elena Di GioiaElena, come è nato l’amore per Elfriede Jelinek?
«Ci sono stati più momenti in cui mi sono innamorata di lei. Dieci anni fa ho sentito un suo testo messo in scena dalla compagnia di Roma “Quelli che restano”. Quella scintilla è rimasta silente per anni dentro di me. Leggevo le sue pubblicazioni mano a mano che uscivano, come lettrice silenziosa. Mi avevano colpito soprattutto i testi teatrali usciti per Ubu libri. Quando ho iniziato a cercare artisti per coinvolgerli nel festival ho scoperto che molti amavano i suoi testi e da tempo avevano in mente di metterli in scena. Altri invece si sono avvicinati alla sua scrittura proprio quando gliene ho parlato io, e ci si sono buttati a capofitto. Il mio è stato un innamoramento solitario che è diventato progetto con la forza della condivisione degli artisti».

Il suo teatro in cosa diverge dalla sua prosa?
«Ha due scritture molto differenti. In romanzi come Le amanti e La pianista, diventato noto per il film di Michael Haneke, mantiene una dimensione narrativa che nel teatro scompare. Jelinek ha un modo di scrivere con cui fare i conti. È, come si dice, post-drammatico. Non c’è una trama, non c’è uno sviluppo narrativo. Sono lunghi flussi verbali in cui lasciarsi scivolare. Nei suoi testi si tocca lo scoglio della comprensibilità. Jelinek richiede tenacia a chi la legge e la vede a teatro. Sono sfide, come ha detto anche lei: “Sono testi per il teatro, ma non per la messa in scena“. Come ha descritto in una delle pochissime interviste che ha rilasciato lei “appende le parole dei testi teatrali agli attori come se fossero degli appendi abiti“. Per gli attori comporta un lavoro non di immedesimazione o di impersonificazione, ma si tratta di fare i conti con le parole. L’attore deve essere estraneo alle parole che la sua bocca dice».

Come crea i suoi testi?
«Spesso lavora con il montaggio. Sono collage di citazioni e frasi prese dalla filosofia di Heidegger e di Fichte, dalla poesia di Hölderlin, ma anche tragedia greca, mescolata con articoli di giornale. Poi impasta tutto con nuove parole. Le citazioni non sono rivelate, ma è importane la scelta che fa in questi montaggi perché scava nella storia delle parole. Smaschera falsità attraverso il linguaggio, come diceva Wit­tgenstein crea una “mitologia del linguaggio”».

Come si inserisce la Jelinek nella drammaturgia europea?
«È una scrittura a cui in Italia non siamo abituati. Un modo unico di scrivere. Non offre emozione a teatro. Cerca qualcos’altro. La forza della sua scrittura è che ritrae quello che  siamo tramite la deformazione. Nel fondo delle sue parole troviamo la natura del potere. Riporta in superficie cose che abbiamo voluto nascondere negli scantinati».

La Jelinek non vede gli spettacoli tratti dai suoi testi, è una situazione molto particolare…
«Lei dice che l’autrice è andata via. Ci sono solo le sue parole. Con quelle fate i conti. Le sue didascalie sono bellissime. Entra nei testi e descrive una regia dettagliata, e poi aggiunge “ma tanto so che farete quello che vi pare”. Ogni regista si confronta con  questi testi liberamente. Alla fine è come leggere un libro, ognuno gli dà una propria interpretazione a prescindere da quello che lo scrittore aveva in mente mentre li scriveva».

Elena BucciIl progetto coinvolge molte compagnie e teatri emiliano-romagnoli come Teatri di Vita, Chiara Guidi, Fanny&Alexander, Elena Bucci, Ateliersi, cosa ha di particolare il teatro in Emilia-Romagna?
«È un ambiente con grande disponibilità e curiosità. C’è stato un grande senso di condivisione di un progetto. Da fuori regione mi dicono che in Emilia-Romagna c’è un terreno fertile, uno spirito di collaborazione che in altri territori non c’è. Non a caso il progetto è nato qui. In Romagna siamo a Ravenna, Faenza, Forlì, Rimini, Mon­tescudo, Lido Adriano, città per città, con spettacoli diversi. Percorrendo piccole distanze il pubblico può vedere differenti tasselli del focus».

E con Elfriede Jelinek siete riusciti a parlare del progetto?
«Sì, ci siamo sentite con pochi scambi di lettere. Ho voluto rispettarla, non ho voluto invadere il suo spazio. Sono poche intensissime lettere. Ha scritto pensieri giganteschi che ora sono sulle spalle di tanti. Era commossa. Sta seguendo il focus a distanza. Ha seguito il progetto fin dall’inizio, prima ancora che diventasse realtà. Ho avuto bisogno che lei lo sapesse mentre stavo coinvolgendo gruppi e teatri nel progetto. Non avevo ancora nessuna certezza che si realizzasse».

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