Il cantautore di culto Flavio Giurato al Cisim: «Smetto con la canzone d’autore»

Presenta il suo concept album sulle migrazioni: «Sarà il mio ultimo in italiano»

Flavio Giurato 2

Flavio Giurato

Flavio Giurato, come attaccano molte biografie, è probabilmente «il segreto meglio custodito» della scena musicale italiana. Classe 1949, romano (e romanista, come avrà modo di sottolineare più volte nel corso della nostra intervista), fratello del più popolare giornalista televisivo Luca, Giurato è in effetti probabilmente il cantautore di culto per antonomasia in Italia.

Il suo esordio discografico è avvenuto quarant’anni fa, il suo secondo album di quattro anni dopo, Il tuffatore, ha ispirato noti scrittori italiani (tanto che ne è nato, vent’anni dopo, un libro di “racconti e opinioni su Flavio Giurato”) e dopo la pubblicazione del terzo, il più sperimentale Marco Polo, sparisce dalla scene per tornare in sordina solo a inizio anni 2000 con un disco registrato dal vivo e poi, in grande stile, altri dieci e passa anni dopo, nel 2015, con La scomparsa di Majorana, acclamatissimo da tutta la critica. Il suo nome ha così iniziato a circolare anche tra i più giovani, facendo nascere un nuovo culto. E “solo” due anni dopo Giurato è tornato con un nuovo disco, Le promesse del mondo, che sta promuovendo in un tour che fa tappa il 27 aprile al Cisim di Lido Adriano (in apertura il cantautore ravennate Giacomo Scudellari).

Flavio, innanzitutto, sarai da solo o con la band?
«Sono con la band che mi ha accompagnato in questi mesi e con cui ho composto l’ultimo album (Federico Zanetti al basso, Daniele Ciucci Giuliani alle percussioni e il sound engineer Mattia Candeloro, ndr)».
Cosa cerchi, ancora, nei live?
«Mi è sempre piaciuto e ho sempre suonato dal vivo per presentare le mie nuove canzoni. Ne sento proprio il bisogno, in particolare dopo aver pubblicato un album perché è per me un modo per capire cosa funziona e cosa no, per poi poter anche correggere il tiro se necessario…».
Ci sono anche giovani oggi ai tuoi concerti?
«Sì, siamo passati in questi anni da live per pochi aficionados che a fine concerto venivano a chiedermi l’autografo su un vinile di trent’anni prima, a concerti, oggi, con anche ragazzi di 16 anni».
La scomparsa di Majorana è stata in effetti una vera rinascita, con ampio spazio dedicato sulle riviste di settore: il tuo nome è tornato a essere caldo, è iniziato a finire anche nelle playlist di Spotify probabilmente, come ti fa sentire questa cosa?
«Eh, io provo un dolore atroce pensando a chi ascolta tramite un hardware. Il suono non è paragonabile a quello di un impianto, non si sentono i dettagli, i fruscii. Ma poi c’è anche l’altra faccia della medaglia: l’avvento di internet ha eliminato tutti i filtri e ha portato una nuova democrazia. Tutti possono ascoltare, oggi, Flavio Giurato…».
Però è sempre più difficile, forse, fare il musicista di professione…
«Ora un musicista deve cercare di sostenersi con i concerti, sì, non certo con i dischi. Mi ricorderò sempre il mio discografico contento per La scomparsa di Majorana, mi disse che ne avevamo vendute più di 900 copie, che era un risultato di tutto rispetto ai tempi d’oggi. Pensavo che mi stesse prendendo in giro, invece purtroppo era serio…».
E il nuovo album invece come sta andando?
«Più o meno uguale».
Si tratta di una sorta di concept sull’immigrazione, anche se sembra solo un pretesto per parlare della società che ci circonda… Quanto è importante l’attualità per comporre un disco? E quanto è politico, il tuo ultimo disco?
«Tutto è politica ed è normale che un cantautore sia influenzato da quello che succede. Ma come non si dovrebbe chiedere a Totti di fare altro che non sia giocare con i piedi, ecco, io mi limito a fare musica e suonare chitarre, la politica la lascio ad altri…».
Cosa ti ha colpito delle migrazioni di questi anni?
«Beh, di certo l’Italia è stata lasciata un po’ sola e non è possibile accogliere tutti, d’accordo. Però non è neanche possibile non accogliere chi sta attraversando un mare, non so se mi spiego…».
E cosa ne pensi della politica italiana?
«Spero che possa nascere un nuovo governo in grado di cambiare sistema, in generale. Ma la mia paura è che possa succedere come sempre, che il nuovo governo al massimo aumenti il prezzo di benzina e sigarette…»
Come è nato il disco e come componi? Scrivi prima i testi e la musica è una conseguenza?
«Non c’è una regola, testi e musica nascono insieme, alcuni più velocemente, altri no: la composizione di “Agua mineral” per esempio è iniziata praticamente sessant’anni fa, quando ero bambino…»
E dove nasce questa tua totale libertà nella scrittura di una canzone, a partire dalla lunghezza fuori standard?
«La lunghezza è soprattutto una questione tecnologica, una volta nei vinili non ci stavano, ricordo ancora che bisognava “limare” i bassi per cercare di appesantire meno il disco. Adesso con il digitale è tutto più semplice e la libertà ne è anche una conseguenza».
E la scelta di utilizzare anche dialetti e in un pezzo l’ inglese?
«Quella è una questione prettamente di musicalità. Sono poi sempre stato praticamente bilingue e il prossimo disco sarà tutto in inglese, di fatto è già pronto per essere registrato: all’estero ho un certo seguito e ho deciso di chiudere con la canzone d’autore italiana. Poi magari in futuro potrei fare musica per la tv, il cinema…».
Rimpianti per i tanti anni di silenzio?
«Nessuno. Anzi, devo ringraziare l’industria discografica per avermi fatto lavorare in grandissimi studi, con musicisti magnifici. Semplicemente, dopo Marco Polo, mi è stato chiesto (dalla CGD, ndr) di fornire dei provini del disco successivo, per capire che tipo di album sarebbe stato. Ma io non lavoro così, ho rifiutato e, semplicemente, ci siamo lasciati consensualmente».
E poi cos’è successo?
«Ho continuato a scrivere canzoni, a suonare quando ne avevo voglia. Mi sono reinventato nella tv, come regista (anche in Rai, ndr), fino a che non ci sono state le condizioni per tornare a fare un disco, in maniera artigiana. Ecco sì, sono passato dall’industria discografica alla bottega».
Che rapporto hai con tuo fratello Luca?
«Bello, guardiamo spesso insieme la Roma, lui viene ai concerti ed è stato fondamentale nella produzione di La scomparsa di Majorana…».
Ti piace la nuova musica italiana?
«Mi piacciono i nuovi cantautori, ho conosciuto Calcutta, sono fan di Lucio Corsi, mi piace poi molto il rap, a partire dai miei concittadini Assalti Frontali e Colle der Fomento (a Ravenna, proprio tramite il Cisim, pochi giorni fa per l’Under Fest, ndr)».

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