«Eventi letterari come ScrittuRa hanno movimentato la creatività della provincia»

Editor, scrittore, traduttore: Alberto Rollo a Ravenna per il festival di letteratura per curare una serie di quattro incontri su narrativa, cinema, serie tv e musica

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Da sinistra Matteo Cavezzali, direttore del festival Scrittura, e Alberto Rollo

Per molti anni direttore letterario di Feltrinelli, ora consulente per la narrativa Mondadori, traduttore e autore finalista del Premio Strega 2018, Alberto Rollo, classe 1951, è uno dei pilastri della scena editoriale italiana degli ultimi decenni. Dopo aver partecipato come editor e come autore, quest’anno contribuisce al programma di ScrittuRa Festival dove ha organizzato quattro incontri tra il 16 e il 19 maggio (vedi in fondo all’articolo per i dettagli). Ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere con lui sul festival, e non solo.

Alberto, partiamo dall’inizio: a cosa servono i festival di letteratura?
«I festival della letteratura sono nati in Italia con Mantova, sulla spinta dell’esperienza inglese dell’Hay Festival. Oggi sono una realtà diffusa. Sono convinto che il loro valore primo stia nel fatto di aver movimentato la sterminata provincia italiana che di fatto è l’Italia, e la provincia ha risposto con intelligenza, risorse e creatività. Tra queste risposte c’è anche il festival di Ravenna che frequento dalla sua prima edizione. Quest’anno ho risposto all’invito di Matteo Cavezzali dando un piccolo contributo al programma».

Ci saranno due momenti intorno al tema del cinema con Umberto Contarello e delle serie tv con l’autore Alessandro Fabbri, la produttrice Cattleya Francesca Longardi e Ludovica Rampoldi, sceneggiatrice di Gomorra.
«In particolare per le serie tv l’aspetto che mi affascina di più è il lavoro collettivo di scrittura, e non posso non pensare al fascino della writers room, vale a dire il luogo in cui gli autori si riuniscono e danno forma giorno per giorno alla progressione narrativa della serie. Per Ravenna ho pensato che può essere molto interessante per il pubblico mettere a confronto scrittori e produttori. Mi piacerebbe che questo confronto, questa compresenza diventasse un appuntamento periodico. Con Umberto Contarello giocheremo a passarci “la palla” per sondare dove passa l’immaginazione, quando le idee diventano storie».

Ma in quale rapporto sono il linguaggio della narrativa e quello delle serie tv? Queste ultime non la stanno cannibalizzando? O invece convivono serenamente?
«Non solo convivono serenamente, esiste ormai un rapporto di stimolo reciproco. »

In cosa in particolare le serie tv sono di stimolo per gli autori di narrativa?
«Conosco pochi scrittori che non siano o non siano stati addicted alle serie tv. E anche se non toccati da forme di dipendenza tutti hanno colto nelle serie dell’ultimo decennio una tipologia di scrittura che conferisce ritmo e, insieme, complessità alla narrazione. Per quanto la scrittura di un romanzo continui a conservare una sua profonda specificità è pur vero che la ricchezza narrativa delle serie ha mostrato, se ce n’era bisogno, che scrivere con la voce impostata della letteratura non porta da nessuna parte, e suona finto. Spesso mi imbatto nella formula “faccio letteratura”. Cosa vuol dire? La letteratura si dà alla fine di un processo, prima c’è solo lavoro, c’è l’invenzione, c’è la gioia o il tormento dell’immaginazione. C’è il racconto e la creazione di una voce che a quel racconto attribuisce una identità».

Poi ci sarà, in data ancora da definire, il dialogo con Vinicio Capossela…
«Sì, sarà un incontro con il Vinicio legato alle sue letture di Keats, Wilde, Melville, il Vinicio che non smette di frequentare i suoi autori più amati e da essi trae ispirazione per la sua musica, e anche per la sua scrittura. »

Invece di narrativa in senso “tradizionale” si parlerà nell’incontro dal suggestivo titolo “Cameretta che già fosti un porto” con Nadia Terranova, Marco Franzoso e Andrea Gentile?
«Ho chiamato tre scrittori di grande pregio per un incontro con un titolo guida che ci porta a un celebre verso di Francesco Petrarca. Mi piacerebbe ragionare insieme della scrittura mentre diventa scrittura, delle idee, delle fatiche, delle illuminazioni, degli sgomenti, degli abissi che si aprono quando si comincia a immaginare una storia e a sentire la fisicità della sua lingua. Mi piacerebbe cogliere nel suo momento surgivo la creazione, il primo pullulare delle idee che poi diventano romanzo, magari anche il destino delle idee che non vanno in porto».

Ma qual è lo stato di salute della narrativa italiana oggi?
«Direi che è buono perché abbiamo visto a livelli diversi, più e meno popolari, che c’è una dimensione di ricerca, si osano strade nuove. Una tra quelle più interessanti, e che è sempre stata un po’ sottovalutata , è quella del romanzo storico. Penso a M. di Antonio Scurati, a Le assaggiatrici di Rosella Postorino, a Il rumore del mondo di Benedetta Cibrario. Trovo interessante tutto questo guardare indietro per ritrovare un’identità. Su un altro fronte troviamo prove formidabili che mescolano la penetrazione psicologica (come si sarebbe detto una volta), la sollecitazione autobiografica, e uno sguardo originale, acuto, penetrante sulla società o su particolari segmenti di società. Si avverte la forza e a volte la ferocia dell’analisi nelle opere di Nadia Terranova, Marco Franzoso, Paolo Di Paolo, Marco Missiroli, Claudia Durastanti. Si tratta di un’area di grandissimo interesse».

Qual è il romanzo che più ha segnato la letteratura italiana recente?
«Direi che un vero spartiacque è rappresentato dall’opera di Antonio Tabucchi e di Daniele Del Giudice. Sono stati autori che hanno accompagnato la narrativa italiana nel suo processo di transizione dal postmoderno calviniano a una nuova fortissima declinazione delle potenzialità del raccontare, sia dal punto di vista letterario che dal punto di vista civile».

Una domanda al traduttore: quale autore hai amato di più tradurre?
«Ci tengo a precisare che sono un traduttore episodico, ma di certo negli ultimi venti o trent’anni mi è rimasto nel cuore Jonathan Coe e anche Steven Millhauser, una sorta di Calvino americano che in Italia non ha avuto molto successo, ma mi auguro che prima o poi riesca a imporsi. Di recente, ho affrontato la bellissima avventura di tornare sul testo, ormai un classico, di A sangue freddo di Truman Capote. Non è stato facile perché la sua è una scrittura piena di trappole, che vuole essere (ed è) fedele ai fatti e ai documenti, ma che in verità “disorienta”, anche quando vuole essere semplice. A sangue freddo ha insegnato a molte generazioni di scrittori a rileggere e reinventare il rapporto tra la finzione e la realtà ben prima che si parlasse, come si fa oggi di docufiction; è un pilastro di questa reinvenzione della realtà a partire dai fatti di cronaca».

A proposito di Coe, invece. Lo scrittore inglese sarà presto a Ravenna: perché non dovremmo perdercelo?
«Coe è lo scrittore che meglio di chiunque altro è riuscito a cucire insieme l’analisi del suo paese con vicende diverse, scrivendo quasi una sua personale “storia” del Regno Unito dagli anni Sessanta fino a oggi attraverso segmenti narrativi diversi, ma cuciti assieme da un vivissimo senso dell’attualità. Oltre a questo, è assolutamente da incontrare perché è un uomo affabile, con una conversazione pubblica che gioca fra la piena coscienza del proprio tempo e la saporita ironia delle sue battute. È un grande esperto di musica rock e di cinema. Consiglio di fargli molte domande sul progressive rock».

Dopo le polemiche al Salone di Torino, ti faccio una domanda semplice: può esistere un editore fuori legge per ciò che pubblica? Non sfociamo inevitabilmente nella censura?
«Può esistere naturalmente la libertà di espressione, ma non può esistere un editore che si dichiara fuori dalla legge. Fino a che il signor Polacchi di Altaforte non si è dichiarato fascista, per me al Salone sarebbe potuto restare, ma dal momento che si è dichiarato tale, allora basta, lì non ci poteva stare».

Ma non sono più pericolosi quelli che magari fascisti lo sono, ma non si dichiarano tali?
«Diciamo che lui è solo un episodio. Ma il fatto che abbia ammesso di essere fascista non lo trasforma in un signore coraggioso. In realtà credo che l’andamento politico e politico culturale degli ultimi anni è il risultato di una deriva che viene da lontano. E viene anche dalla sostanziale indifferenza o dalla superficialità con cui i progressisti hanno guardato crescere identità sociali e politiche che hanno cercato facili modi di espressione. Siamo una nazione che dal punto di vista delle idee non produce più niente da almeno trent’anni. C’è chi fa ma, per quel fare, fatica a trovare un segno politico. Altrove, nel consenso generalizzato dei gruppi politici più recenti vedo, anche quando gridato a squarciagola, solo conformismo, allegra ottusità, difesa degli interessi particolari. La gente normale continua ad essere normalissima. C’è bisogno di uno sguardo più complesso, di più interlocuzione. Non è questione di fascismo o non fascismo: abbiamo il dovere di svegliare la voglia di conoscere, di essere più popolo e meno gente».

I libri possono servire a contrastare questo pericolo? O restano nella cerchia di chi già coglie almeno in parte la complessità della realtà che ci circonda?
«I libri ci sono, ci devono essere e devono combattere la loro battaglia. C’è il rischio che vengano vissuti come un Aventino della coscienza. E invece i libri devono andare in giro, essere letti, interpretati, scandagliati e devono dire cose a chiunque. Sappiamo bene quanto è complicato il mondo della lettura, ma proprio perché lo sappiamo, dobbiamo tenere aperte tutte le porte».

IL CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI CON ALBERTO ROLLO
Giovedì 16 maggio alle 18 con Umberto Contarello per il dialogo dal titolo La grande bellezza di scrivere per il cinema alla Biblioteca Classense. Lo storico sceneggiatore premio Oscar racconterà cosa significa pensare una storia per la pellicola.
Sabato 18 maggio alle 18 sarà la volta di “Scrivere in serie” in Piazza Unità d’Italia (alla Classense in caso di maltempo) per l’incontro sul mondo delle serie tv con Alessando Fabbri sceneggiatore di 1993 e ora al lavoro su Tre metri sopra il cielo, Francesca Longardi, produttrice Cattleya e Ludovica Rampoldi, sceneggiatrice di Gomorra.
Domenica 19 alle 18 domenica si terrà l’incontro “Cameretta che già fosti un porto”: ipotesi sul futuro della letteratura in Italia con gli scrittori Nadia Terranova, Marco Franzoso e Andrea Gentile in dialogo con Alberto Rollo. Ancora da definire luogo e data per l’incontro con Vinicio Capossela.

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