Pier Paolo Pasolini e la “disperata vitalità” di Bimba

Elena Bucci riporta in scena la figura talentuosa, smagliante e corrosiva dell’attrice e cantante Laura Betti: «Era una vera furia infantile»

Elena Bucci Bimba 1

Intorno al tema pasoliniano del Festival riemerge anche uno storico lavoro dell’attrice Elena Bucci dedicato a una personalità molto vicina al celebrato scrittore: Laura Betti che lui chiamava Bimba… Lo spettacolo, per l’appunto, Bimba 22, andrà in scena l’1 luglio al teatro Rasi.

Elena, avevi già lavorato su Laura Betti, giusto?
«Sì, diversi anni fa. Per l’inaugurazione del teatro di Casalecchio, intitolato adesso proprio alla Betti, che era nata lì, feci un primo studio su di lei. Quest’anno mi è stata richiesta una nuova edizione di quel lavoro da Valter Malosti per Ert, e dopo una settimana di presentazione all’Arena del Sole lo porto al Festival».

C’è un bel libro di Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, dove Laura Betti emerge come una figura eccezionale, un po’ violenta, ingombrante e inquietante. È così anche per te, che la devi interpretare sulla scena?

«Ho una grande simpatia per i personaggi controversi. Lo spettacolo si chiama Bimba, come la chiamava Pasolini. E per me la Betti è davvero così: ha l’intemperanza, la furia, la generosità tipica dei bambini. Era una persona professionalmente molto lucida e preparata – parlava tante lingue, sapeva cantare, recitare, un grande talento – ma aveva una forma di rabbia verso il mondo, una vera furia infantile. Il critico Tullio Kezich, in un suo scritto, la definisce “un reagente corrosivo contro la banalità”. Mica male. La Betti è stata una donna che ha sempre cercato l’autenticità e la verità, anche a costo di consumarsi».

Che tipo di lavoro hai fatto per realizzare questo studio?
«Ho usato un metodo per uscire dalle mie abitudini, simile a quello che avevo intrapreso per Panagulis. Spinta dalla curiosità, ho riletto tutto quello che ho trovato di scritto su di lei, mi sono messa a rileggere di nuovo Pasolini: è impossibile prescindere da lui, perché la stessa Betti legò la sua vita, indissolubilmente, alla sua. Non perché Pasolini sia stato il suo pigmalione – la Betti ripeteva spesso che l’unico pigmalione della sua vita era stata lei stessa – ma perché erano entrambi due ribelli. Dopo la morte di Pasolini, la Betti si è fatta carico della sua eredità intellettuale, diventando quasi una “vestale”, investita del compito di mantenere viva la sua memoria».

Accompagni il pubblico alla scoperta del personaggio?
«Ci provo. Metto in scena le mie domande. Questo mi permette di essere più libera, di ondeggiare fra i personaggi, i testi e, progressivamente, di far diventare la Betti assoluta protagonista dell’opera».

Anche questa volta ci saranno musiche?
«Non ci sarà un musicista in scena, non saprei bene dove metterlo, ma il piano musicale è importantissimo. Tante canzoni della Betti, pezzi registrati, interviste, e musiche originali che abbiamo costruito insieme a Raffaele Bassetti».

Come sarà la scena?
«Quasi nuda. È una scena di ombre. Ci sono due schermi che si incrociano e che mi lasciano la possibilità di entrare e uscire, di giocare con la mia ombra, di alludere sempre alla Betti. Faccio il cinema con le ombre, ecco: torniamo all’origine».

Come in Panagulis, anche nella Betti mi sembra che sia presente una cupio dissolvi fortissima. Cosa credi di avere capito della Betti? Da cos’era ossessionata?
«Sta tutto in tre parole, che lei stessa ha scelto per il suo lavoro sulle poesie di Pasolini, diretto da un Martone ancora giovanissimo: Una disperata vitalità. Non so perché, ma mi affascinano questi talenti, talmente vivi che si distruggono. È lo scialo del talento, della vita stessa, che mi perturba. Lei era molto oculata e brava nel suo lavoro, sapeva calcolare, intendiamoci; ma in fondo c’è una vitalità a perdersi, e mai una tesaurizzazione di sé».

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