«Chi ha la barca è visto come un evasore, considerato peggio di un terrorista come Bin Laden. La gente si è stancata di passare un’ora con la guardia di finanza a bordo ogni domenica in cui esce in mare e ha smesso di comprare barche». Ecco l’analisi della crisi del settore nautico in Italia sintetizzata da Angelo Carnevali, presidente dell’omonimo cantiere a Marina di Ravenna. Il percorso della società negli ultimi anni è un esempio calzante delle difficoltà di tutto il settore: nel 2008 il fatturato di Carnevali era di 20-25 milioni di euro, oggi è sceso a un paio di milioni. «Ma siamo sopravvissuti senza concordati, a differenza di altri. Siamo rimasti in pochi».
La sopravvivenza in questo caso è il risultato di una scelta fatta in controtendenza: «Nel 2009 ho cominciato ad avere poca fiducia sul futuro. Gli altri attorno dicevano che era una crisi passeggera ma io non la vedevo più chiara. Crescevano i fatturati e diminuivano i margini, questo è stato un campanello d’allarme». È servita una mossa drastica: mettere in cassintegrazione quasi 120 dipendenti nei cantieri di Ravenna e Fano. Che sono stati presto assunti da altri cantieri per le loro competenze e perché altrove c’era chi pensava di essere ancora in gara. Oggi il cantiere ha quasi abbandonato il settore produzione per dedicarsi invece a rimessaggio e manutenzione «ma non sono anni felici».
A Ravenna aveva sede anche il Consorzio export nautico (Cen) per la promozione del settore italiano all’estero. Verrà chiuso: «Non abbiamo più soci iscritti, non ci sono più margini», sintetizza Carnevali che è presidente anche del Cen. Oggi il panorama dei costruttori in provincia conta Carnevali a Marina e De Cesari a Cervia, Dellapasqua ha ottenuto il concordato e prosegue l’attività per le vendite necessarie a saldare gli accordi.
Ma possibile che una crisi così spietata sia solo l’effetto psicologico di chi teme i controlli? «Non dimentichiamoci che è arrivata una crisi generale diffusa a tutti i livelli. Per troppi anni le banche hanno dato la possibilità a tante persone di realizzare sogni che invece dovevano restare sogni perché non avevano i redditi per coprirli. C’è stato un periodo in cui il 60 percento di chi si comprava una barca non poteva permetterselo. Poi ci sono quelli, e sono tanti, che temono i controlli. Perché anche il più onesto imprenditore ha almeno una irregolarità in azienda e allora poi significano multe e la barca è davvero vista come un indicatore».
Ora la terra promessa è dall’altra parte dell’Adriatico, la penisola Balcanica, soprattutto la Croazia: «Tenere una barca a Rovigno costa il triplo che a Marinara ma là gli investimenti li fanno, i paesaggi sono più belli e i controlli non sono così accaniti. Molti hanno spostato là la barca oppure l’hanno venduta qua e vanno a noleggiarla là». Ma quanto costa farsi la barchetta? «Facciamo l’esempio di una 11 metri tenuta bene con tutti gli accessori capace di ospitare fino a quattro persone: 40mila euro se è degli anni Novanta, 300mila se è di un anno».