Dal tipo di olio alla temperatura: i “segreti” per la frittura perfetta

Se realizzata senza errori è possibile renderla gustosa e allo stesso tempo non troppo pesante

Frittura PesceLa frittura non è certamente la cottura che i medici consigliano per un consumo frequente ma, se realizzata senza errori, è possibile non renderla disastrosa da un punto di vista nutrizionale e perfetta per il gusto.

Partiamo col dire che questa particolare tecnica prevede che un alimento venga cotto per parziale o totale immersione in un fluido grasso caldo. Quindi, il primo problema da risolvere è senza dubbio la scelta dell’olio.

Premessa: la “leggerezza” dell’olio di semi è una bufala bella e buona dell’industria del settore, favorita dall’effetto psicologico della mancanza di colore del prodotto. La neutralità cromatica dell’olio di semi, infatti, favorisce l’associazione con l’idea di purezza e digeribilità. Il grasso più “leggero” (e per leggero non intendo meno calorico!), invece, è l’olio extravergine di oliva: sono anni che i nutrizionisti si affannano a spiegarci come questo grasso diventi tossico per il fegato a temperature molto più alte di quella sufficiente all’olio di semi per trasformarsi in un mezzo veleno.

E giusto per dare qualche numero, l’olio extravergine di oliva ha un punto di fumo che oscilla fra i 200 e 210 gradi centigradi, quelli di mais e di girasole fra i 130 e i 135 e quello di arachidi si aggira sui 190. Da questi numeri è facile capire che non tutti gli oli di semi vanno bocciati e che – sia perché il sapore che lascia l’extravergine di oliva in frittura può non piacere a tutti, sia perché anche l’aspetto economico va preso in considerazione – fra gli oli di semi quello di arachide è il migliore.

Passando ai grassi animali, è vero che lo strutto è quasi scomparso dalle nostre cucine e che non è una perdita grave, specialmente per fegato e arterie, ma, circa il gusto, soprattutto noi romagnoli avremmo qualcosa da ridire! È certo però che il suo punto di fumo è molto alto. Per quanto riguarda il burro, invece, va bene solo per alcune fritture saltate in padella e per la cotoletta alla milanese, a patto però che sia chiarificato.

Veniamo ora alla temperatura dell’olio che deve essere la massima possibile, compatibilmente con la durata della cottura: questo perché maggiore è la temperatura, maggiore è la forza del flusso di vapore che fuoriesce dall’alimento, proteggendolo così dalla penetrazione dell’olio. In linea di principio, devono cuocere a fuoco basso (a temperature di 150-160 gradi) gli alimenti voluminosi che necessitano di tempi relativamente lunghi, come baccalà, pesce in tranci, pollo in pezzi, costolette alla milanese con l’osso. Invece vanno fritti a fuoco alto (temperature di 170-180 gradi) gli alimenti piccoli che cuociono rapidamente, come pesci piccoli, gamberi, crocchette con ingredienti precotti, verdure precotte pastellate e dolci fritti. A fuoco medio si friggono le cotolette sottili, le melanzane e le polpette.

Deciso quale olio usare e a che temperatura mantenerlo, chiediamoci ora quanto usarne: se stiamo friggendo in olio profondo (per immersione) dovrà essere abbondante, circa 10 volte il peso di quello del cibo da friggere. Se invece optiamo per una frittura in padella, il livello del grasso dovrà raggiungere circa la metà dell’altezza dell’alimento. Per questa cottura, lo strumento giusto è la padella a bordi alti e retti.

Altro accorgimento da adottare è quello di friggere poco cibo alla volta perché l’immersione di troppi alimenti nell’olio comporta un immediato abbassamento della sua temperatura e il suo conseguente assorbimento.

Verdure In PastellaConcludiamo parlando di come proteggere le nostre materie prime sottoposte ad una cottura così aggressiva come la frittura. Sì perché, a parte alcuni ingredienti che vengono fritti così come sono (le patate per esempio), di solito un alimento accede alla frittura dopo essere stato sottoposto a un trattamento che ne tuteli la superficie dall’eccesso di calore e ne migliori il gusto.

Sto parlando di infarinatura, di impanatura e di pastellatura. La prima pratica consiste in un passaggio veloce nella farina in modo che il pezzetto di cibo ne risulti “foderato”: questo passaggio è da fare immediatamente prima di friggere perché, in caso contrario, si otterrebbe un prodotto non omogeneo e butterato. Impanare, invece, significa passare il cibo prima nell’uovo sbattuto e poi nel pane grattugiato (questo può essere sia “al naturale” o condito con erbe aromatiche, spezie; mai sale!). A volte interviene anche la farina, come primo passaggio prima dell’uovo. A differenza dell’alimento infarinato, quello impanato resiste bene all’attesa della frittura. Anzi, restando all’aria, l’impanatura si rassoda e si mantiene integra, senza sbriciolarsi nel bagno di frittura. Infine, la pastella: questa può essere di sola acqua e farina, oppure di latte e farina, o ancora di birra e farina.

La chiarificazione del burro

Il punto di fumo è la tempeatura alla quale un grasso inizia a decomporsi alterando la propria struttura molecolare e generando una sostanza tossica e cancerogena (l’acreolina).
E avendo il burro un punto di fumo molto basso, non sarebbe un grasso adatto alla frittura se non avessimo modo di chiarificarlo. Sì, la chiarificazione non è una delle tante operazioni snob dell’alta cucina ma un procedimento indispensabile per chi debba friggere a lungo un alimento nel burro, come avviene per esempio per la vera cotoletta alla milanese.
Il burro è composto da una parte grassa e una parte proteica (la caseina). Alle alte temperature (cioè a quelle indispensabili per la frittura) la caseina brucia facendo diventare scuro il burro sgradevole e dannoso.
La chiarificazione, quindi, altro non è che la separazione della parte proteica (che viene eliminata) dalla parte grassa.

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