Clandestini, ma non delinquenti

Matteo CavezzaliNelle immagini dalle telecamere di sicurezza riconosco i tavoli del locale. È il bar dove prendo il caffé la mattina, in centro a Ravenna. C’è un ragazzo seduto in un tavolino sotto i portici. Ha una tazzina davanti a sé e sta guardando il cellulare. Un’altra figura, fotogramma dopo fotogramma, gli si avvicina. Ha in mano qualcosa. Non si capisce dalle foto, ma so che è un pugnale. Sferra un colpo. Il ragazzo riesce a evitarlo e fugge. Le immagini finiscono, ma la storia continua. Il ragazzo corre all’impazzata lungo via Corrado Ricci, viene raggiunto e colpito. Arriva fino a piazza XX settembre, ai piedi dell’aquila che guarda la città dall’alto della sua colonna, e cade a terra in un bagno di sangue. L’accoltellatore sarà ritrovato il giorno seguente. È un tunisino di 45 anni, in Italia dal 1994. Non è affatto sconosciuto alle forze dell’ordine. Tra caserme e questure ci sono 39 sue foto segnaletiche scattate dopo altrettanti fermi, 18 provvedimenti definitivi dell’autorità giudiziaria e nel 2009 erano state avviate le pratiche per l’espulsione. Otto anni fa? Come è possibile che un soggetto del genere richieda otto anni per essere espulso? Questa è la domanda che tutti si sono fatti leggendo la notizia. Perché ci è voluto così tanto?
Con addosso la rabbia di chi vede un accoltellamento svolgersi in pieno centro nella propria città, mi sono andato a informare. La risposta che ho scoperto mi ha fatto arrabbiare ancora di più.
I tribunali sono intasati da centinaia e centinaia di casi. Aperti anche per i motivi più futili. Tra questi il reato di clandestinità. Per uno straniero basta perdere il lavoro per ritrovarsi da un momento all’altro irregolare e perseguibile per legge. Fascicoli su fascicoli che rendono impossibile lavorare in tempi consoni. E così alla fine sono proprio i veri delinquenti a riuscire a farla franca. Le procedure aperte si accumulano, i tempi si allungano, i costi crescono e di fatto i casi di reati gravi si mescolano nel mare magnum di carte con centinaia di procedimenti di scarsa o nulla rilevanza per l’interesse collettivo.
La domanda allora è: non sarebbe meglio accanirsi meno per aspetti formali e concentrare le forze sui criminali reali? Chi vuole fare di tutta l’erba un fascio, accomunando in discorsi pubblici delinquenti e clandestini (con il reato inventato di clandestinità) sa che aiuta di fatto la permanenza sul suolo italiano dei criminali veri? Non lo sa o gli fa comodo che sia così per alimentare l’odio sociale?

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