Il flop del nostro calcio parte dai bambini

La catastrofica (almeno per il movimento calcistico) mancata qualificazione dell’Italia ai prossimi campionati del mondo di calcio parte da lontano, dicono un po’ tutti gli analisti del giorno dopo, soffermandosi su alcune scellerate scelte di Ventura, sul livello del campionato italiano, sui vivai (un classico) o al limite sulle solite assurde accuse contro i troppi stranieri in serie A. La mancata qualificazione in effetti parte da lontano. Ma da ancora più lontano. Parte anche dalla sperduta bassa ravennate, dai campetti dove bambini si sfidano senza troppi patemi nel weekend. A essere presi di mira da quelle parti sono spesso i genitori, con la solita retorica che va ormai molto di moda: è loro la colpa se i figli si montano la testa. Vero. Ma se invece non imparano a giocare a calcio (non un grosso problema di per sè, ci mancherebbe, ma qui si sta cercando di analizzare i difetti del movimento calcistico) è colpa di allenatori spesso – almeno da queste parti, e altrove sarà pure peggio – non all’altezza, in società che non hanno alcun interesse ad avere tecnici preparati (che giustamente vogliono essere pure pagati) per quelli che considerano solo dei bambini. Non si spiegherebbero altrimenti certe scene, certe urla, certi comportamenti e soprattutto certi insegnamenti, finalizzati già solo ed esclusivamente al risultato, da ottenere con tutti i mezzi. L’impressione, stando ad articoli e video trovati in rete, è che all’estero non sia certo così. Che abbiano capito invece che i calciatori si costruiscono  non in generale nei “vivai”, ma già da piccolissimi. Che più che vincere è importante insegnare a dribblare, a stoppare la palla, a passarla, a toccarla più volte possibile senza paura di perderla.

Senza dubbio la colpa è delle società che non se ne rendono conto, peggio se professionistiche, che magari continuano ad anteporre il fisico alla tecnica, con il paradossale risultato che poi finiamo per fare a gara sul fisico (naturalmente perdendo) contro la Svezia. Ma la colpa più grande è probabilmente della Federazione, di chi comanda il nostro calcio, che al massimo decide di non pubblicare ipocritamente risultati e classifiche dei bambini perché troppo piccoli, in realtà invece già grandi abbastanza per capire da soli se hanno vinto o perso (e giustamente anche di fregarsene). Quello che potrebbe fare la federazione per far crescere giovani calciatori è invece molto altro. Ma è molto più impegnativo. Potrebbe fare vera formazione, innanzitutto, per fare in modo che non ci sia più nessuno che insegni a bambini di 6 anni a calciare la palla il più lontano possibile e basta. Potrebbe dare incentivi a società virtuose, in questo senso. O imporre vincoli di qualsiasi tipo per favorire il gioco, in ogni senso. Potrebbe fare, insomma, del calcio dei piccoli un grande laboratorio. Ma in fondo sono solo dei bambini ed è più facile concentrarsi sui grandi. Più facile, più veloce. Sicuramente però, al momento, anche fallimentare.

Ravvena&Dintorni: l'editoriale
SABBIONI BILLB SYBY 18 03 – 07 04 24
SAFARI RAVENNA BILLB 14 03 – 03 04 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24