Scoperta: il razzismo non è solo roba per gli italiani

Ha suscitato più di uno stupore nelle scorse settimane la scoperta che a gridare «Andatevene a casa» ad alcuni bambini neri durante un doposcuola estivo alla Rocca Brancaleone sia stato un uomo tunisino. C’è addirittura chi ha sostenuto che questo non sarebbe quindi razzismo.
Ora, ciò che si può sostenere è che molto probabilmente quest’uomo non sia stato direttamente toccato dal clima di crescente “sdoganamento” del razzismo in Italia, sicuramente incentivato da alcune posizioni dell’attuale governo. Ma che il razzismo non sia un problema semplicemente di “italiani” contro “stranieri” è per la verità cosa nota da tempo a chi si occupa del tema.

E nemmeno c’è bisogno di essere tanto esperti in materia, basta ascoltare tanti discorsi fuori dalle scuole, nei capannelli dei genitori, se non osservare direttamente alcuni gruppi di ragazzini. In un conflitto orizzontale che attraversa soprattutto le fasce della società più deboli ed esposte a difficoltà non è una novità che il terzultimo arrivato se la prenda con il penultimo e il penultimo con l’ultimo. Tanti stranieri che sono arrivati in Italia hanno portato con sé i pregiudizi diffusi nella loro madre patria a cui si sono sommati quelli incontrati qui. In una guerra dove tutti sono destinati a perdere, soprattutto chi appare straniero, ossia, in primis, le persone dalla pelle nera.

Per questo è così cruciale continuare a lavorare e investire, a partire proprio dalle scuole e dalle società sportive (quanto vengono davvero sanzionati e condannati gli epititi razzisti sui campi di gioco dove si sfidano adolescenti e preadolescenti?) sul tema dell’integrazione e anche di quella parola detestata da molti che si chiama “tolleranza” e che invece forse va un po’ riscoperta. Non nel senso di “sopportare tacitamente” chi si comporta in modo non congruo, ma nel senso di dare una chance, non opporre un atteggiamento di chiusura a priori verso tutto ciò che è diverso da ciò a cui siamo abituati. E anche sì, ogni tanto, sopportare ciò che non ci piace, perché anche noi potremmo non piacere a qualcuno, ma Salvini o non Salvini, gli italiani sono già un popolo in cui tanti cittadini hanno un colore che non è il bianco, una religione che non è quella cattolica, una tradizione culinaria che non prevede piadina e cappelletti e nemmeno la caponata.

E volenti o nolenti, conviene a tutti trovare una convivenza possibile non basata sul conflitto. E bisogna farlo soprattutto adesso, mentre il decreto voluto dal ministro Salvini stravolge il modello dello Sprar, una rete di accoglienza eccellente che vede Ravenna tra i primi comuni ad aver aderito con ottimi esiti e riconosciuti negli anni, e che si è occupata di integrare persone che non devono essere lasciate sole, in balia del rischio criminalità e anche di un rischio di odio, l’odio degli esclusi.
Quegli esclusi destinati a crescere se davvero sempre quel decreto farà sì che siano negate molte più protezioni umanitarie, senza aprire canali alternativi per i migranti economici, cosa che non è stata fatta nemmeno dai governi precedenti, e bravo chi capisce il perché.

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