Sorpresa: nel mondo del lavoro ci sono troppe disparità

Non c’era bisogno del coronavirus per accorgersene, ma di certo l’emergenza ha acceso un riflettore su quello che normalmente è lì, ma rimane in ombra, ormai accettato come fosse una fatalità: la disparità dei trattamenti dei lavoratori. Nella scuola, ossia nel servizio pubblico, di cui ci siamo occupati e di cui si è occupata la politica, è quanto mai plastica: le scuole chiudono per ragioni di forza maggiore, i dipendenti statali o comunali non vanno al lavoro e ricevono il proprio stipendio come se ci andassero, educatori e altri lavoratori invece non svolgendo il proprio lavoro non possono essere pagati. Perché il datore di lavoro, tanto più se pubblico, non può pagare prestazioni non godute per non incorrere in un danno erariale.

Dov’è lo scandalo? Lo scandalo è a monte: è nel fatto che quei lavoratori non siano internalizzati. È nel sistema dell’appalto di servizi di fatto sociali che però fa tanto comodo e ha fatto tanto comodo a tutti per tenere basse le tariffe, per garantire assistenza a costi ragionevoli, forse fin troppo ragionevoli. Perché poi a pagarli, di fatto, sono stati appunto in primis i lavoratori, naturalmente.

Ma in questo caso specifico, in questa crisi trasversale che sembra non risparmiare nessuno, perché bisognerebbe curarsi più degli educatori, per dire, che degli interpreti di conferenza a cui è saltato il convegno? O dei musicisti che non hanno potuto suonare? E le guide turistiche? Certo, con gli educatori sappiamo da chi andare a bussare, ossia il Comune, che paga il servizio e che, in un gioco dei paradossi, rischia di risparmiare denaro dalla chiusura delle scuole per la mancata erogazione di servizi previsti (non solo quelli degli educatori, naturalmente). Soldi che sicuramente potranno servire ad alleviare gli effetti di questa crisi (per esempio alle famiglie non sarà chiesto di pagare servizi di cui non si è potuto usufruire).

Ecco allora che nella complessità di una situazione senza precedenti, emergono in modo più netto tutte le contraddizioni, le fragilità, le ingiustizie del sistema di un lavoro fatto di subappalti, contratti a termine, prestazioni occasionali. Una realtà che riguarda il pubblico e il privato e soprattutto il mondo legato all’intrattenimento, alla cultura e al turismo, linfa vitale per il nostro territorio. La grande sfida che ci lancia il coronavirus forse sta anche qui: ripensare a tanti meccanismi che non sono in grado di reggere nemmeno il minimo (figuriamoci il massimo) imprevisto.

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