Dante fa tornare Ravenna Capitale. «E può unire tutto il nostro teatro»

Parla Marco Martinelli delle Albe, che sarà alla guida del corteo che celebra ogni anno il Poeta. «L’Alighieri è attuale anche perché è stato stritolato dalla politica, allora come oggi più interessata ai propri interessi che al bene comune»

Prova Inferno©Zani Casadio 6390 Copia

Marco Martinelli con Ermanna Montanari in occasione dell’Inferno

Sarà il Teatro delle Albe a condurre per la prima volta il corteo dell’annuale della commemorazione della morte di Dante, sull’onda del successo del progetto Cantiere Dante, commissionato da Ravenna Festival e che ha visto debuttare tra l’entusiasmo di pubblico e critica ormai più di un anno fa la prima parte dell’ambiziosa trilogia dedicata dalla storica compagnia teatrale ravenante alla Commedia, quella sull’Inferno. Per la prima volta saranno così le incursioni artistiche di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari a condurre le autorità lungo i luoghi celebrativi.

Ne parliamo con lo stesso Martinelli, fondatore e drammaturgo delle Albe. «Sarà un’azione corale, come l’abbiamo definita Ermanna e io, aperta naturalmente a tutti i cittadini, con la quale si vuole arricchire e innervare il percorso con versi danteschi, utilizzando sia il primo che il secondo canto dell’Inferno. Saranno presenti i cori dei cittadini, quello del Verdi e i due del Ludus Vocalis, oltre a quello di un gruppo di cittadini materani (nell’ambito della collaborazione con Matera Capitale Europea della Cultura 2019, con cui sempre domenica alle 13 il Comune di Ravenna firmerà un protocollo d’intesa, ndr): alterneremo versi e musica in questo percorso, preceduti e guidati da Simone Marzocchi e la sua tromba».
A più di un anno di distanza, cosa pensa dell’esperienza di Inferno e della risposta dei ravennati?
«Ci aspettavamo una risposta, certo, ma non così grande, così intensa, da parte di tanti cittadini, sia come presenze agli spettacoli che come partecipazione alla realizzazione degli stessi (i cittadini come noto sono stati coinvolti anche come attori, ndr): penso ai bambini, alle signore di 80 anni che impersonavano le arpie, tra le più scatenate. Penso poi ai riconoscimenti sulla stampa nazionale…».
Cosa rende ancora così attuale Dante, dal punto di vista di un autore teatrale?
«Qualcuno in effetti potrebbe vedere questi sette secoli come un fossato invalicabile e invece proprio in questi tempi di “serva Italia” che stiamo vivendo, quel suo anelito alla giustizia, alla pace, a una politica che non sia scontro per i propri interessi, lo rendono molto attuale. Dante è rimasto schiacciato, stritolato, dalla politica, molto simile a quella dei nostri giorni, in cui non si guarda al bene della patria, ma ai propri interessi, mandando in sfacelo una nazione e i suoi cittadini. C’è poi la dimensione interiore e teologica di Dante, che paradossalmente rimane ancora un’indicazione importante ai nostri tempi e che invece la scienza positivistica ottocentesca aveva liquidato come anticaglia».
E Ravenna promuove adeguatamente l’attualità di Dante?
«Ravenna nei giorni dell’Inferno è stata come una calamita, sono arrivati qua da tutta Italia, sia a partecipare che ad assistere. E ho potuto verificare come noi ravennati ci guardiamo da ravennati, ma visti da fuori c’è tanta stima per come riusciamo a mantenere vivo questo culto».
E, al contrario, non è che si rischia di esagerare con Dante, in questi anni di celebrazioni, a discapito di altro?
«Il rischio di fare indigestione c’è, di far sì che giovani e adolescenti non ne possano più. Si può e si deve onorare Dante anche con eventi culturali che non siano direttamente danteschi, affrontare filosofi e artisti di oggi in cui si avverta una tensione simile a quella presente nell’opera del Poeta».
Ci può anticipare qualcosa dello spettacolo del prossimo anno? Come state preparando il vostro Purgatorio partecipato?
«Il Purgatorio sarà una doppia impresa perché dovremo costruirlo a Ravenna con i ravennati e ancor prima (in maggio, ndr) a Matera con i materani per il loro anno da Capitale europea della Cultura. Manterremo la stessa dinamica itinerante e collettiva dell’Inferno. A Ravenna stiamo per individuare lo spazio da utilizzare (l’anno scorso fu messo sottosopra il teatro Rasi, ndr), sempre in centro. Saranno in programma ancora tante repliche e cercheremo di tenere la capienza un po’ più alta rispetto all’Inferno (le cui repliche sono andate tutte esaurite in poco tempo, ndr)».
E come sarà, dal punto di vista dei contenuti? Su cosa avete puntato?
«Tra i tanti aspetti, uno ci ha colpito in particolare, la cantica degli artisti, di Casella musicista, di Belacqua liutaio, dei miniaturisti, di Giotto, Cimabue, delle arti figurative, della musica e della poesia. È come se Dante ci dicesse che l’arte non è la salvezza in quanto tale, ma una prima scala per ascendere alla salvezza. Coinvolgeremo diversi cori musicali della città e sarà proprio questo il segno molto forte di diversità, la musica, rispetto al rumore dell’Inferno».
Troppo presto invece per parlare del Paradiso che chiuderà la trilogia nel 2021?
«Quella è l’impresa. È lì che ce la giocheremo molto. Al momento penso alla luce, al “trasumanare”, ma anche al fatto che il Paradiso l’abbia scritto un uomo, al modo in cui si può solo balbettare il Paradiso, nel senso che la miglior teologia è quella negativa. Ma ne riparleremo, ora siamo ancora solo sulla scala…»
Il vostro progetto era nel dossier di candidatura a Ravenna Capitale europea della Cultura: come si può proseguire quell’esperienza?
«Una cosa che mi piacerebbe portare avanti con lo spirito che caratterizzò la nostra candidatura è cercare per il 2021, settimo centenario della morte del Poeta, di richiamare a raccolta tutto il teatro ravennate, metterci insieme unendo le forze per moltiplicare l’energia».

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