Lino Guanciale: «Dante è per tutti ma attenzione a non renderlo noioso»

Sala Muratori alla Classense affollata per l’attore che ha interpretato con maestria uno splendido cammino tra secoli di letteratura

Attachment (78)La Sala Muratori della Biblioteca Classense era particolarmente affollata nella serata di sabato 29 settembre: persone di tutte le età, in particolare donne e giovani ragazze tra i 15 e i 20 anni, hanno accolto con un caloroso applauso di benvenuto l’attore italiano Lino Guanciale, impegnato nel reading “Le belle parole per una futura umanità – vita, temperanza, gentilezza, dialogo, perseveranza, alba…”. L’iniziativa si inseriva all’interno di Mens-a, il primo evento internazionale sul pensiero ospitale e la cultura dell’ospitalità, e chiudeva i precedenti appuntamenti della giornata, ovvero gli interventi di Giorgio Simonelli, purtroppo assente, su “L’Umanesimo in Televisione: Dante, da Albertazzi a Greenway” e della filosofa Ágnes Heller “Per una civiltà dell’universalmente umano”.

Guanciale ha letto, o meglio, interpretato, con maestria e trasporto il testo sperimentale scritto dalla professoressa Beatrice Balsamo, direttrice scientifica di Mens-a: l’attore ha condotto il pubblico, assorto in un silenzio quasi “devozionale”, in uno splendido cammino tra le voci narrative di grandi umanisti, come Dante Alighieri, Seneca, Tommaso D’Aquino, Shakespeare, Jorge Luis Borges, Franz Kafka, Hannah Arendt, Montale e molti altri.

Al momento si può dire che sei tra i volti più noti della televisione italiana: chi ti segue sui social non può non aver notato il tuo impegno sul fronte umanitario, in particolare mi viene in mente l’iniziativa, alla quale hai preso parte, divulgata con l’hashtag #EVERYCHILDISMYCHILD , nata in seguito all’attacco chimico del 4 aprile 2017 a Khan Shaykhun in Siria. C’è una connessione tra quello che fai nella vita lavorativa e questo reading?

«Sì, c’è sempre. Il punto è, secondo me, che il modo migliore per fare buona politica in questo momento è “agire di sponda”, cioè approfittare di qualunque occasione per lavorare sui grandi temi generali che ci riguardano tutti, nessuno escluso. Io credo poco nella politica fatta con gli sbarramenti da una parte e dall’altra sul singolo tema in dettaglio. Non ha senso scannarsi sulla propaganda razzista, attualmente svolta da questo governo, perché in tal modo si fa soltanto un grande favore a chi la propaganda la produce. Ritengo invece sia molto più utile approfittare di occasioni come questa per lavorare sui valori fondamentali del vivere civile, cioè sui concetti sociali come l’armonia, la temperanza, la delicatezza nell’incontro dell’altro, la delicatezza con la quale bisogna trattare il dialogo con se stessi e con gli altri, stando a monte dei problemi. Affrontare questi argomenti, secondo me, non è divertirsi, cioè distrarsi dai temi politici fondamentali, è anzi andare più alla radice dei problemi stessi. Per cui ecco, per me, una serata come questa è importante in quest’ottica».

È il tuo primo reading?

«No, ne ho fatti tanti, 150-200 circa. Più o meno sempre tutti hanno avuto un côté politico, diciamo così, contingente: qualunque reading che abbia fatto in vita mia non è quasi mai stato disinteressato, decontestualizzato veramente. O, se è capitato ogni tanto, è avvenuto per i libri di Alessia Gazzola o di qualche altro amico scrittore che divagassero da questa regola. Fondamentalmente, l’impegno è sempre stato una costante».

Sia quando sei entrato in sala, sia alla tua “uscita di scena”, il pubblico ti ha accolto con grande affetto ed entusiasmo. Hai sempre avuto tutto questo successo?

«Si e no. Nel senso che, indubbiamente, da quando sono diventato popolare, soprattutto con la televisione, è più facile che le sale si riempiano. Ma di letture ne ho fatte miriadi anche prima: non ho smesso mai, neanche per un giorno della mia vita, di fare teatro»

Teatro che, immagino sia la tua passione.

«Sì. La televisione ho scelto di farla per riempire le sale, fondamentalmente. Mi sono divertito molto a lavorare in tv, e molte delle cose che ho fatto sono leggere, gradevoli; a me, e al gruppo con cui lavoravo, serviva per cercare di avere maggiore visibilità e maggior riscontro con il pubblico. Il nostro lavoro, il mio lavoro a teatro è sempre stato un lavoro politico di taglio più che altro brechtiano, quindi con una matrice ideologica piuttosto chiara e individuabile. L’arte non ha senso, secondo me, se non è fatta con questo tipo di intenzione. Almeno, io non ci credo al fatto che l’artista debba vivere fuori dal tempo: persino Montale, in qualche modo, in qualche maniera, scendeva dalla torre d’avorio»

Oltre alla tua esperienza attoriale, alle spalle hai anche degli studi di stampo umanistico. Di tutti i testi che hai letto stasera, c’è un autore o più autori che hai sentito più vicino a te, che ti hanno colpito in qualche modo?

«Dei testi presenti nel reading, per il quale la professoressa Balsamo aveva messo in carnet tantissime proposte, che poi abbiamo selezionato insieme, molti mi erano già cari. Ma, a prescindere da questo, mi ha colpito sicuramente Lettera al padre di Kafka»

Hai messo molto trasporto nella sua lettura: ti tocca da vicino in sé per l’opera o per tue questioni biografiche?

«La biografia ci finisce sempre dentro. Io non ho traumi particolari con mio padre, ringraziando il cielo non mi è andata come a Kafka, però uno che fa l’attore deve cercare di farsi risuonare dentro qualunque cosa reciti o legga. Sicuramente, Lettera al padre è uno dei testi più immediati per un uomo, perché il rapporto con il padre è il cardine, per molti aspetti, un po’ di tutta quanta la vita. Un altro per me di particolare risonanza è il testo di Calvino tratto da La giornata d’uno scrutatore, un libro magnifico. Io amo Calvino tutto, ma devo dire che quel passaggio specifico la professoressa è stata molto brava a coglierlo e individuarlo per il reading»

Ti trovi nella città di Dante, insieme a Firenze e a Verona, e in particolare siamo durante il “settembre dantesco”. Nel reading, l’opera di Dante, e in particolare la Commedia, è stata molto citata: cosa pensi di questo autore che rimane comunque sempre così attuale e…?

«Sarei sciocco se ti dicessi cosa penso di Dante perché scadrei nell’ovvio. Ti posso dire quello che credo io, che Dante non lo possono maneggiare tutti, ovvero: Dante è per tutti dal punto di vista dei fruitori, ma non è per tutti dal punto di vista dei lettori, cioè non lo possono recitare tutti. Sarebbe bene lo leggessero e lo frequentassero tutti, che lo imparassero a memoria: imparare le cantiche è un esercizio utilissimo che aiuta a entrare nella musicalità del verso, che è implacabilmente forte, compatta nella Commedia; cosa inusuale in Dante, se si pensa alle rime “petrose” o alla Vita Nova, che funzionano in un altro modo. La musicalità, la sonorità poetica della Commedia è come un calco neuronale, cioè impararlo credo aiuti moltissimo lo sviluppo delle possibilità cognitive, per esempio, dei bambini, dei ragazzi. Sono un po’ più esclusivista per chi lo legge in pubblico, nel senso che mi sta benissimo se si fanno delle maratone in cui lo può leggere tutta la città, quello è meraviglioso. Però, al di là dell’evento partecipativo, lì dove si tratta di mettersi a “farlo suonare”, credo serva una scuola, un’esperienza. Il danno maggiore in cui si rischia di incorrere è farlo percepire come noioso. Purtroppo è quello che capita spesso con la poesia e tanto spesso anche con Dante: lo leggono persone che, dopo un po’, annoiano»

In merito, mi viene in mente il mondo della scuola, degli insegnati e degli alunni.

«Io faccio moltissimo lavoro laboratoriale. Insegno sia ai ragazzi delle scuole sia agli insegnanti, e in particolare a questi ultimi, a leggere meglio i testi in classe. La lettura ad alta voce è uno strumento didattico impareggiabile che si usa poco perché i docenti, seppure appassionati lettori, non hanno i rudimenti tecnici, anche molto banali, che invece gli attori possono scambiare con loro»

Ravenna è molto attenta all’argomento, se si pensa anche solo alle iniziative di lettura per i più piccoli del progetto Nati per Leggere, al quale il Comune e in particolare l’Istituzione Biblioteca Classense hanno aderito da tempo. Si può però fare altro?

«Secondo me, in ogni città, i teatri, per lo meno quelli che riescono ad avere un corpo attori attorno a essi, dovrebbero fare ovunque quello che noi abbiamo fatto a Modena o a Bologna: gli attori, che lavorano fissamente in città, insegnano nelle scuole, e insegnano agli insegnanti quelle piccole cose che aiutano a leggere meglio quando si è in classe. Si tratta di di tecniche, anche banali. Non serve che uno diventi Carmelo Bene… È sufficiente sviluppare delle piccole attenzioni che aiutano a stare tranquilli quando si legge e a dominare l’attenzione: se si vuole, basta davvero poco per far amare ai ragazzi il suono della poesia, che oggi è la cosa che più manca»

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