Le iniziative di Little Heaven, unico forno crematorio in provincia dedicato a cani e gatti (ma anche uccellini e coniglietti…). I titolari: «Vogliamo dare un conforto»
Urna per le ceneri di un animale domestico
Il desiderio di chiunque possegga un animale domestico, dopo una lunga vita insieme? Prendersene cura fino all’ultimo, prevedendo la cremazione e una degna sepoltura in alcuni casi o la conservazione delle ceneri in altre.
A offrire questo servizio innovativo e al passo coi tempi, visto che cani e gatti fanno sempre più parte della famiglia, è “Little Heaven”, letteralmente un “piccolo paradiso”, aperto maggio scorso su iniziativa di Filippo Castagnoli e Fabio Lauro. Nella sede di via Masotti 14 a Fornace Zarattini, oltre a uno spazio ufficio per accogliere i clienti, c’è un forno crematorio dedicato agli animali, l’unico presente nelle province di Ravenna e Forlì-Cesena. C’è anche qualche agenzia funebre che si occupa del servizio, ma poi finisce col rivolgersi ad attività come “Little Heaven” che dispongono di un forno crematorio, in grado di accogliere anche cani di grande taglia.
«Oltre dieci anni fa – racconta Castagnoli – ho saputo che negli Stati Uniti nascevano i primi servizi di questo tipo. Gradualmente sono stati avviati anche in Italia, soprattutto nei grandi centri urbani con un buon riscontro. Per chi come me ama gli animali domestici è stata un’illuminazione, perché so quanto è difficile affrontare la loro morte. L’iter burocratico è tutt’altro che agevole perché servono tante autorizzazioni e un certo investimento economico. Ma l’ho cominciato insieme al mio socio Fabio che ha sciolto qualsiasi riserva dopo la perdita del suo cane che lo ha costretto a spostarsi fino a Reggio Emilia per cremarlo, con evidente dispendio di tempo e denaro».
La cremazione è l’unica possibile alternativa ai percorsi classici che prevedono lo smaltimento in discarica dell’animale domestico, quasi come normali rifiuti, o la sepoltura nel proprio giardino, seguendo le ordinanze comunali.
Due i servizi offerti da “Little Heaven” che prevedono un diverso esborso economico. Il primo, più dispendioso e riservato ai proprietari, prevede la cremazione dell’animale di cui poi vengono restituite le ceneri in un’apposita urna scelta secondo le preferenze. Al riguardo, ci sono urne biologiche che si possono seppellire in giardino, oltre ad altre valide alternative: collanine con un ciondolo a cuore in cui inserire le ceneri, oppure cornici con la foto del proprio animale domestico e l’impronta della sua zampa.
Il secondo servizio, rivolto sia ai veterinari che ai privati, consiste invece nel recupero dei corpi che vengono cremati collettivamente nel forno aziendale, senza che poi vengano rese le ceneri.
Per i due soci è già tempo dei primi bilanci. «Siamo molto contenti e in linea con le nostre più rosee aspettative – spiega ancora Castagnoli –. In questi mesi, si sono rivolti a noi tanti privati e anche studi veterinari che stanno cominciando a conoscerci anche grazie al passaparola. Si tratta in gran parte di ravennati, ma molti dei nostri clienti vengono anche da tutta la regione. Per lo più ci siamo occupati di cani, gatti, oltre che di qualche uccellino e coniglietto. Chi si rivolge a noi ha la certezza che le ceneri siano proprio quelle del caro animale estinto, tanto più che è anche possibile partecipare alla cremazione senza alcun costo aggiuntivo».
A rivolgersi a “Little Heaven” sono persone di tutte le età e condizioni, dalle coppie alle famiglie con bambini, dai giovani ai più anziani, in definitiva chiunque abbia vissuto un legame molto profondo con il proprio amico a quattro zampe. «Non potrò mai dimenticare – conclude Castagnoli – una coppia di signori anziani che si è separata dalla propria gatta, dopo oltre vent’anni, con estrema sofferenza. Anche per noi è stato un momento difficile, ma al contempo gratificante per essere riusciti a dare un conforto in più».
Dopo Inferno arrivano le carte del Purgatorio, ideate anche per “allenare” i malati di Parkinson
Dante Alighieri Comedia Purgatorio è il titolo del secondo capitolo della serie di giochi di società ideata dall’azienda ravennate Cobblepot Games, pensato per allenare le capacità cognitive dei malati di Parkinson e delle persone affette da malattie neurodegenerative. Questo nuovo progetto, ideato dopo il successo della prima uscita ispirata all’Inferno, è stato realizzato in collaborazione con l’associazione Ravenna Parkinson e studiato con l’aiuto di medici per coinvolgere anche pazienti con demenza e i loro familiari.
Si tratta di un gioco di carte, in cui ogni partecipante deve giocare una carta dal proprio mazzo per avvicinarsi il più possibile a un valore definito, ma senza sforarlo, servendosi di una serie di indizi ed elementi che aiutano a prevedere il risultato. Al centro del tavolo si crea un “monte” composta dalle carte abbinate ai vizi del Purgatorio, che andando avanti nella partita sale verso il Paradiso. Questo secondo capitolo della serie ha una meccanica collaborativa, diversa dalla logica diabolica di Inferno: i giocatori devono aiutarsi a vicenda per fare in modo che al centro del tavolo ci sia la somma di valori vincente.
L’idea è di Gabriele Mari, game designer e operatore nell’ambito della disabilità, ma la progettazione ha coinvolto anche sanitari e volontari nel settore dell’assistenza ai malati di Parkinson. «I medici ci hanno dato alcune linee guida. Dovevamo pensare a un gioco in cui per esempio non fosse necessario tenere in mano le carte, ma anche prevedere la presenza dei caregiver, la cui partecipazione è agevolata dal meccanismo collaborativo del gioco: i giocatori, infatti, devono aiutarsi a vicenda perché l’errore di uno rischia di fare perdere tutti. Abbiamo anche previsto la possibilità di rientrare nella partita in qualsiasi momento, così da affrontare le problematiche tipiche di chi soffre di Parkinson, come problemi di freeze o momenti di difficoltà mnemonica», spiega Giacomo Santopietro, direttore della Cobblepot Games. La sperimentazione è in corso e qualche paziente ha già partecipato alle prime partite test.
L’uscita è prevista per la prossima primavera, ma il gioco sarà già in prevendita a marzo per il “Dantedì”, grazie all’editore italiano Top Hat Games. Contribuiranno alle fasi conclusive della realizzazione anche gli studenti del Liceo Artistico “Nervi-Severini” di Ravenna, che hanno vinto lo stage alla Cobblepot Games classificandosi tra i primi tre selezionati nel concorso per il logo dell’associazione Ravenna Parkinson. Avranno diversi incarichi, che svolgeranno sotto la supervisione dell’artista Demis Savini: tra questi la rivisitazione a colori delle tavole del gioco, ispirate alle opere in bianco e nero di Gustave Dorè.
Ma si dovrà averla con sé e indossare in caso di assembramento
Stop alle mascherine all’aperto, ma è obbligatorio averle con sé e utilizzarle in caso di assembramento.
Restano invece obbligatorie al chiuso.
Lo prevede l’ordinanza firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza. Fino al 31 marzo 2022, si legge, «è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale (indipendentemente dai colori, ndr) di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private» e «nei luoghi all’aperto è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di avere sempre con sé i dispositivi di protezione delle vie respiratorie e di indossarli laddove si configurino assembramenti o affollamentI».
L’ordinanza entra in vigore a partire dall’11 febbraio e lo resterà fino al 31 marzo.
ll centro autogestito tornerà operativo, anche se non tutti gli spazi saranno agibili. A breve l’incontro con l’assessore Sbaraglia per definire la modalità e i tempi di riapertura
Spartaco, lo spazio autogestito di via Chiavica Romea che temeva di fatto la chiusura, non solo non morirà, ma rimarrà lì dove è da ormai vent’anni. Nonostante gli oltre 40mila euro di multe comminate dalla polizia municipale per infrazioni di vario genere (vedi dettagli a fondo pagina) e per cui ora si stanno raccogliendo fondi grazie anche a un cd che vanta la copertina di Zerocalcare.
Il Comune sembra aver ammorbidito la linea iniziale per cui aveva deciso non solo di non prorogare in automatico la convenzione in scadenza al 31 dicembre, ma addirittura di sospenderla con quindici giorni in anticipo, anche e soprattutto in virtù, era stato lasciato intendere, degli importanti lavori che sarebbero stati necessari per una la messa in sicurezza della totalità dei locali.
Dunque, a prevalere, è stata la linea che uno spazio di aggregazione informale deve restare e può continuare a essere Spartaco, purché con limitazioni negli spazi realmente agibili che garantiscano piena sicurezza. Un risultato a cui hanno lavorato naturalmente i volontari che da subito si sono attivati con appelli e incontri pubblici e sulla loro pagina Facebook già dal 20 dicembre raccontavano di un proficuo incontro con l’assessore e la dirigente alle politiche giovanili.
«Ci riteniamo soddisfatti del risultato ottenuto lo scorso 20 dicembre all’incontro in presenza dell’assessore Fabio Sbaraglia e la dirigente Laura Rossi sul futuro dello spazio» scrivevano sulla loro pagina Facebook, nonostante appunto le «incognite di non poco conto su cui sarà importante mantenere una certa chiarezza e fermezza, in particolare sulla fruibilità degli spazi».
Ad appoggiare la causa ci sono state anche forze politiche, tra cui Coraggiosa, oggi quella più a sinistra presente nella compagine del Consiglio comunale, parte della maggioranza. In particolare il consigliere Luca Cortesi, neoeletto e nuovo volto di Palazzo Merlato, ci racconta: «Da subito ci siamo attivati e personalmente ho partecipato all’incontro indetto a dicembre alla Rocca proprio dagli attivisti di Spartaco. Siamo convinti che uno spazio autogestito e informale sia una realtà importante che deve continuare a esistere per la sua unicità sul territorio, ovviamente senza rinunciare al tema della sicurezza e al rispetto delle norme previste dalla convenzione. Siamo quindi soddisfatti che si stia andando verso una soluzione che tenga conto di entrambi questi aspetti».
A breve è previsto un nuovo incontro per definire meglio le modalità e stilare una nuova convenzione, essendo quella esistente scaduta, ma intanto a nessuna delle attività presenti è stato chiesto di sgombrare i locali dai materiali, come quelli della biblioteca transfemminista a cura di “Non una di meno”, una delle realtà che da tempo operano in via Chiavica Romea così come, tra gli altri, quella degli Ortisti di strada. «Ci vedremo l’11 febbraio – conferma l’assessore alle politiche giovanili Fabio Sbaraglia – con l’intenzione di rinnovare la concessione e poter concedere almeno una porzione degli spazi alle attività fin da subito, con l’idea di ampliarli nel tempo, anche se in parte hanno bisogno di lavori importanti, e che al momento quindi rimarrano esclusi. Da parte nostra quindi nessun segnale di chiusura, come si è visto anche dalla decisione di non sospendere anticipantamente l’accordo. Dovremo poi decidere insieme il tipo di attività che sarà possibile svolgersi e per quante persone».
La formula dell’accordo potrà subire qualche modifica ma potrebbe e dovrebbe comunque prevedere ancora il pagamento delle utenze da parte del Comune e la formula di “Concessione per l’utilizzo di spazi finalizzato ad attività autogestite” senza alcun bando, in modo diretto. «Quello spazio di fatto è sempre stato uno spazio votato alla sperimentazione dell’autogestione strutturata in collaborazione con l’Amministrazione Comunale – dice Sbaraglia – e in questo momento la nostra intenzione è che resti tale».
I membri di Spartaco da noi interpellati sui progetti per il futuro del centro e anche sulla struttura giuridica che potrebbero decidere di assumere ci hanno spiegato che al momento non gli è possibile esprimere dichiarazioni, visto che l’assemblea non si è ancora riunita per deliberare in proposito.
Multe per balli, cibo e assembramenti
I firmatari (dieci in tutto) della convenzione tra Spartaco e Comune scaduta il 31 dicembre si sono visti comminare, nel corso del 2021, alcune multe salate per cui ora è in corso una raccolta fondi. Nel dettaglio, sono stati elevati tre verbali di contestazione per violazione amministrativa per intrattenimento danzante senza autorizzazione (1000 euro); mancata osservanza delle norme anticovid (400 euro) e l’esercizio di distribuzione di alimenti e bevande senza aver preventivamente comunicato alla competente autorità la prescritta notifica sanitaria (3mila euro).
Sono 415 i nuovi casi di positività al coronavirus registrati in provincia di Ravenna, dove scendono a 7 (1 in meno di ieri) i pazienti ricoverati in terapia intensiva. Nel bollettino Covid di oggi (8 febbraio) non sono stati accertati nuovi morti in provincia.
IL BOLLETTINO DELL’8 FEBBRAIO
Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 1.116.930 casi di positività, 4.554 in più rispetto a ieri, su un totale di 61.214 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore, di cui 19.258 molecolari e 41.956 test antigenici rapidi.
I pazienti attualmente ricoverati nelle terapie intensive dell’Emilia-Romagna sono 140 (-4 rispetto a ieri), l’età media è di 62,8 anni. Sul totale, 79 non sono vaccinati (zero dosi di vaccino ricevute, età media 61,4 anni), il 56,4%; 61 sono vaccinati con ciclo completo (età media 64,6 anni). Un dato che va rapportato al fatto che le persone over 12 vaccinate con ciclo completo in Emilia-Romagna superano i 3,7 milioni, circa 300mila quelle vaccinabili che ancora non lo hanno fatto.
Per quanto riguarda i pazienti ricoverati negli altri reparti Covid, sono 2.285 (-177 rispetto a ieri, -7,2%), età media 74,2 anni.
I casi attivi, cioè i malati effettivi, sono 129.613 (-8.568). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 127.188 (-8.387), il 98,1% del totale dei casi attivi.
Le persone complessivamente guarite sono 13.090 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 971.927.
Purtroppo, si registrano 32 decessi (nessuno in provincia di Ravenna): 1 in provincia di Piacenza (una donna di 94 anni); 2 in provincia di Parma (una donna di 52 anni e un uomo di 84 anni); 4 in provincia di Reggio Emilia (due donne di 87 e 88 anni e due uomini: uno di 79 anni, il cui decesso è stato registrato dall’Ausl di Modena e uno di 94 anni, il cui decesso è stato registrato dall’Ausl di Rimini); 10 in provincia di Modena (quattro donne di 79, 88 anni, 92 anni e 95 anni, e sei uomini, rispettivamente di 57, 74, 80, 83, 84 e 90 anni); 4 in provincia di Bologna (due donne, rispettivamente di 84 e 89 anni, e due uomini di 82 e 85 anni); 2 in provincia di Ferrara (due uomini, di 79 e 81 anni); 4 in provincia di Forlì-Cesena (una donna di 86 anni e tre uomini di 76, 84 e 87 anni); 5 in provincia di Rimini (tre donne di 64, 86 e 89 anni e due uomini, entrambi di 88 anni).
In totale, dall’inizio dell’epidemia, i decessi in regione sono stati 15.390.
In programma il 9 febbraio alle 22, su Food Network, alla scoperta di cozze e cappelletti
Da non perdere la puntata dedicata a Ravenna de “L’Italia a Morsi”, che andrà in onda mercoledì 9 febbraio alle 22 su Food Network (canale 33) e sarà disponibile anche in streaming su Discovery+.
La trasmissione è ripartita dal 16 gennaio con la quarta stagione: in ogni puntata la conduttrice Chiara Maci compie un viaggio nelle regioni italiane alla scoperta di antiche tradizioni culinarie e delle specialità del Bel Paese. Inoltre incontra i produttori locali che hanno deciso di aprire le porte della loro casa, ma soprattutto della loro cucina, con la formula dell’home restaurant.
Nella puntata che andrà in onda domani, Chiara Maci visiterà la città di Ravenna e scoprirà i segreti sulla cozza selvatica e sulla preparazione dei cappelletti di magro. Cucinerà poi con la cuoca Cristina un menu della tradizione locale.
Il Paxlovid si aggiunge ai monoclonali. L’assessore: «Pronti per questa nuova sfida»
Parte da oggi anche in Emilia-Romagna la distribuzione del Paxlovid, la pillola anticovid di Pfizer autorizzata nelle scorse settimane da Aifa.
Nella nostra regione, dunque, e nello specifico a Ferrara (base di riferimento per la consegna) la Struttura Commissariale ha consegnato 1.225 confezioni – corrispondenti ad altrettanti trattamenti. ll 60% della fornitura, quindi 735 trattamenti, sono già stati distribuiti alle singole Aziende sanitarie, e a breve è attesa un’ulteriore consegna.
Questa la ripartizione tra le Aziende sanitarie del territorio, considerato come criterio di distribuzione il numero di positivi nella settimana dal 31 gennaio al 6 febbraio 2022: 31 a Piacenza, 66 a Parma, 81 a Reggio Emilia, 102 a Modena, 144 a Bologna, 23 a Imola, 84 a Ferrara e 204 in Romagna.
«Siamo pronti anche per questa nuova sfida nella lotta al Covid- sottolinea l’assessore regionale alle Politiche per la Salute, Raffaele Donini-. Da oggi nelle nostre strutture sanitarie comincia la distribuzione secondo precise indicazioni organizzative. Confidiamo in questa nuova terapia per i pazienti meno gravi, e intanto proseguiamo con gli altri trattamenti utilizzati».
Paxlovid
L’antivirale Paxlovid, come spiega l’Agenzia italiana del farmaco, è indicato per il trattamento (per la durata di 5 giorni) di pazienti adulti con infezione recente da Sars-CoV-2 con malattia lieve-moderata che non hanno bisogno di ossigenoterapia e con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio per lo sviluppo di Covid-19 severo.
Gli altri farmaci
Il Paxlovid si aggiunge ad altre terapie utilizzate in Emilia-Romagna. Nei mesi scorsi, infatti, è iniziata la somministrazione di anticorpi monoclonali su persone affette dalla malattia: sono utilizzati un anticorpo monoclonale, il Sotrovimab in uso dal 25 novembre 2021, e due antivirali, a cui da oggi si aggiunge il Paxlovid, ovvero il Remdesivir, usato dal 10 ottobre 2020 per i pazienti ospedalizzati e dal 30 dicembre 2021 per i pazienti non ricoverati, e il Molnupiravir, anche questo in uso dal 30 dicembre 2021.
Come rileva il monitoraggio della Regione (Servizio Assistenza territoriale- Area Farmaci e Dispositivi medici), al 2 febbraio 2022 sono 8.240 i trattamenti con Remdesivir, 242 quelli con Sotrovimab e 199 quelli con Molnupiravir.
Si fermano a 1.251 quelli con Bamlanivimab, usato dal 18 marzo 2021, e a 1.066 quelli con Casirivimab, in uso dal 24 marzo 2021, in quanto non più utilizzabili nei casi di variante Omicron.
Rosanna Liverani ha 87 anni e da 35 aspetta di sapere chi ha rapito e ammazzato suo figlio, Pier Paolo Minguzzi. In tribunale ha preso la parola dopo la deposizione piena di amnesie di un militare: «Un carabiniere mi disse che in caserma ostacolavano le sue indagini»
«Mettetecela tutta, voglio vedere chi ha avuto il coraggio di fare una cosa così». È l’appello rivolto ai giudici della corte d’assise di Ravenna da una donna 87enne che da 35 anni aspetta la verità sull’omicidio del figlio. Nel processo per il delitto di Pier Paolo Minguzzi, Rosanna Liverani ha chiesto di poter parlare in aula ieri, 7 febbraio, nella tredicesima udienza. Una breve dichiarazione suscitata dalla nebbiosa e sfuggente deposizione di Vincenzo Tallarico, ex comandante della compagnia dei carabinieri di Ravenna: pochi ricordi e tanti scarichi di responsabilità. E quella testimonianza ha improvvisamente dato un altro senso alle parole che l’anziana si sentì dire da un investigatore a quel tempo: «Il maresciallo Bargelletti mi disse che le sue indagini erano ostacolate in caserma».
I tre alla sbarra sono imputati di tentata estorsione, omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere e rischiano l’ergastolo: Orazio Tasca, oggi 56enne, Angelo Del Dotto (57) e Alfredo Tarroni (65, ex idraulico del paese). Del Dotto e Tasca erano carabinieri e compagni di stanza negli alloggi della caserma di Alfonsine. Minguzzi era il terzo genito di una famiglia di imprenditori dell’ortofrutta ad Alfonsine, studiava Agraria a Bologna ed era carabiniere di leva a Bosco Mesola (Ferrara).
La sentenza di primo grado potrebbe arrivare in aprile. A metà marzo, quando sarà ormai conclusa la lista dei testi da ascoltare, scadrà la seconda proroga di 30 giorni chiesta dal perito fonico per l’analisi delle telefonate estorsive.
A Ravenna in via Ghibuzza. Il locale resterà aperto anche a pranzo, dal 10 febbraio
A quasi due anni dalla chiusura – a causa anche della difficile convivenza con i residenti – della precedente gestione targata “Abajur”, giovedì 10 febbraio riapre a Ravenna lo storico circolo Aurora, in via Ghibuzza.
Sarà la sede di Slow Food Ravenna e la costituenda associazione culturale che si occuperà della nuova gestione «avrà come primaria missione quella di promuovere gli indirizzi propugnati» dall’associazione fondata da Carlo Petrini.
Sarà un circolo con osteria al servizio dei soci con una cucina “ravennate” ma interpretata “in chiave moderna”, puntando «sulla genuinità delle materie prime, il rispetto dell’ambiente e delle biodiversità e sul consumo consapevole contro gli sprechi. Non mancheremo – si legge in una nota inviata alla stampa – di affacciarci anche oltre i confini del nostro territorio affrontando, di tanto in tanto, inserimenti gastronomici attinti qua e là in giro per l’Italia».
All’interno del circolo sarà anche possibile acquistare prodotti selezionati e secondo l’intenzione dei nuovi gestori l’Aurora dovrà essere un «luogo di dibattito, di degustazioni e cene, convegni, corsi di cucina, corsi sul vino, distillati e birra, punto di partenza per viaggi e visite a produttori e artigiani».
In programma anche iniziative culturali e in particolare un progetto musicale con concerti che spazieranno dal jazz al blues fino alla musica popolare e dal mondo.
Il circolo avrà poi un contatto diretto e continuo con Slow Food Italia: sono previsti una serie di incontri letterari in collaborazione con Slow Food Editore.
Saranno organizzate anche passeggiate e iniziative per i soci che amano il turismo “slow”.
Infine verrà lanciato il progetto “Cuoco errante”, con un cuoco blasonato che entrerà per una sera in cucina per proporre un suo piatto e condividere la sua idea di cucina con i soci.
Il circolo sarà aperto tutti i giorni sia a pranzo che a cena, fatta eccezione per la chiusura della domenica sera e del lunedì.
Udienza 12 / Nel processo per l’omicidio del 21enne, l’accusa vuole interrogare l’ex capitano dei carabinieri Antonio Rocco ma per la quarta volta l’83enne ha mandato un certificato medico: il viaggio da Salerno a Ravenna è troppo lungo. Ma è la stessa distanza per arrivare a Bologna dove è stato trovato dalla polizia. Le parti civili: «Ci sta prendendo per i fondelli»
Per problemi di salute non può affrontare un viaggio di 600 km per testimoniare in un processo per omicidio ma la stessa distanza è riuscito a percorrerla per andare in visita a casa della figlia. In sintesi è questo il comportamento di Antonio Rocco, 83enne carabiniere in congedo che nel 1987 era comandante della compagnia di Ravenna e indagò sull’omicidio di Pier Paolo Minguzzi di Alfonsine. Ieri, 7 febbraio, per la quarta volta l’ex capitano residente a Baronissi (Salerno) non si è presentato in corte d’assise a Ravenna dove altri due ex carabinieri e un idraulico di Alfonsine sono imputati per la morte del 21enne, militare di leva a Bosco Mesola e terzo genito di una famiglia di imprenditori di Alfonsine che fu rapito il 21 aprile e ritrovato cadavere l’1 maggio 1987.
Per giustificare l’impossibilità di presentarsi, Rocco ha inviato un certificato di un medico di base e ha chiesto di essere ascoltato a distanza.
Per la tredicesima udienza in calendario il 21 febbraio è previsto il quinto tentativo qualora la visita fiscale di un medico militare, disposta per ieri stesso dalla corte, dovesse rilevare che Rocco è in grado di affrontare la trasferta. La corte e l’accusa avevano preso in considerazione la richiesta dell’uomo per un’audizione in videoconferenza a distanza, i legali delle tre parti civili si sono opposti fermamente: «Non è stato certificato un pericolo per la sua salute – ha detto l’avvocato Paolo Cristofori –, ha parlato prima di lombo-sciatalgia e ora di postumi di un infarto. Credo che debba venire in aula, ci sta prendendo per i fondelli». Dose rincarata dall’avvocata Elisa Fabbri: «Fino a un mese fa il teste era a Bologna a trovare la figlia come ha accertato la polizia giudiziaria. Sta facendo avanti e indietro tra Bologna e Baronissi ma l’unico posto in cui non vuole venire è questo tribunale». Il riferimenti di Bologna è a quanto accaduto a fine 2021: la polizia giudiziaria doveva notificare la convocazione a Rocco e lo trovò a Bologna in visita da una figlia.
Rocco era in carico fino a dicembre 1987 poi venne sostituito da Vincenzo Tallarico. Le informazioni fornite da Rocco in fase di indagini preliminari quando venne riaperto il fascicolo hanno fornito elementi di interesse all’accusa. Quelle parole sono nero su bianco nei verbali delle cosiddette Sit, sommarie informazioni testimoniali. Una relazione firmata da Rocco nel pieno delle indagini sull’omicidio Vetrano metteva in fila una serie di circostanze in comune con il delitto Minguzzi per un quadro indiziario a carico degli imputati odierni. La pm Marilù Gattelli e le parti civili di quella relazione vorrebbero parlare in aula.
Il fatto risale a fine gennaio. Aperto un fascicolo contro ignoti
Un 13enne sarebbe stato abusato sessualmente da uno sconosciuto nel tardo pomeriggio di una decina di giorni fa.
La notizia è riportata sul Corriere Romagna in edicola oggi, 8 febbraio, in un articolo in cui si informa come la procura di Ravenna abbia aperto un fascicolo contro ignoti per violenza sessuale aggravata.
Secondo il racconto del ragazzo – residente in provincia nel territorio della Bassa Romagna – sarebbe stato inseguito in bici da uno sconosciuto che prima lo avrebbe fermato in una zona appartata per parlare, passando poi a veri e propri atti sessuali.
Alcuni testimoni – rintracciati dalla madre tramite un appello sui social, dopo aver sporto regolare denuncia – confermano di aver notato quel pomeriggio nella zona incriminata un ragazzino con un uomo dal fare sospetto.
Interviene Pippo Tadolini del coordinamento ravennate “Per il clima – fuori dal fossile”, che si mobilita il 12 febbraio intorno alla centrale gas dell’Eni a Casalborsetti
Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Pippo Tadolini, attivista ambientalista ravennate e coordinatore del nodo locale della campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile”. Peraltro questo gruppo – ci segnala Tadolini – insieme a Legambiente, alla Rete Emergenza Climatica e Ambientale dell’ Emilia Romagna e al movimento dei Fridays for Future di Ravenna, nell’ambito della “Giornata di mobilitazione nazionale contro il gas e il nucleare”, promuove per per sabato 12 febbraio (ore 10,30) un presidio in prossimità della centrale Eni di Casalborsetti (lungo via delle Maone, all’angolo con via Primo Lacchini – Canale in Destra Reno).
«La complessità della conversione ecologica è ormai all’ordine del giorno, e proprio perché se ne parla ogni giorno, stanno emergendo svariate interpretazioni, alcune molto distanti fra loro.
Del tutto recentemente il gas e il nucleare sono stati inseriti nella cosiddetta “tassonomia” verde, e ad alto livello si cerca di farli passare per orizzonti ecosostenibili. E questo rende il panorama ancora più complesso. Si sostiene che i governi dovrebbero attuare politiche economiche che spostino le risorse verso l’obiettivo di una reale trasformazione.
Il problema più grave, tuttavia, è proprio che i governi le politiche necessarie – con ogni probabilità – non le realizzeranno, in quanto molto lontane dagli orientamenti fin qui espressi sia dal Ministero della Transizione Ecologica, che in teoria, dovrebbe essere il principale motore del processo, sia dalle forze politiche, anche quelle che maggiormente cercano di dimostrare sensibilità al tema ecologico. Queste, nel migliore dei casi, sono riuscite a ottenere qualche spostamento di bilancio, o bloccare momentaneamente qualche investimento dannoso, come accaduto per esempio nel caso della bocciatura in Commissione al Senato dei fondi previsti per l’impianto del CCS di Ravenna. I cui lavori preliminari, però stanno muovendo i primi passi.
Piattaforme off shore dell’Eni nel mare Adriatico
Attendere che a promuovere una vera svolta sia l’istituzione governativa o anche il legislatore (cioè il Parlamento), significa ispirarsi a logiche assai diverse da chi negli ultimi anni si è espresso, con ricerca scientifica, approfondimento e mobilitazione sociale. Movimenti, comitati, associazioni, reti di conoscenza e di elaborazione critica, che si oppongono in vario modo allo stato di cose attuale (dominato dalle vecchie logiche e dai vecchi modelli), hanno cercato e cercano in ogni modo di agire anche sulle istituzioni e sulle rappresentanze, ma bisogna prendere atto che la maggior parte delle istanze ha avuto risposte scarse.
Possiamo essere certi, quindi, che la transizione ecologica dall’alto, o quanto meno solo dall’alto non si farà, non in misura sufficiente a cambiare la rotta disastrosa che stiamo percorrendo, ed evitare la moltiplicazione dei danni. E così, a poco tempo dal vertice di Glasgow chiamato COP26, dove si sono spese molte parole ma si è dato seguito a programmi assai fumosi, l’obiettivo di mantenere il riscaldamento climatico entro la soglia di 1,5°C, ma forse – purtroppo – anche dei 2°C, sembra essere molto difficilmente raggiungibile.
A questo punto si rende quanto mai necessaria una presa di parola e di iniziativa dal basso, cercando di immaginare non solo il contesto in cui ci troveremo tra non molti anni, ma anche e soprattutto le opportunità che la situazione ci pone davanti.
Esempi di assetti sociali e produttivi che suggeriscono come si potrebbe procedere ve ne sono: vorrei citare a titolo esemplificativo quello di Civitavecchia, dove una vera rivolta contro i fossili sta coinvolgendo un’ampia fascia di società, la qual cosa può prefigurare un vero cambiamento. E proporre una riflessione: si deve cercare di promuovere, non solo come scelta etica individuale, ma anche sul versante dell’organizzazione sociale, una “sobrietà”, che sposti il più possibile la domanda dai consumi individuali a quelli condivisi.
È un passaggio che, se non si vuole aspettare – appunto – improbabili decisioni dall’alto, dai massimi livelli decisionali, ha bisogno di coinvolgere i governi locali, e quindi i Comuni e gli enti erogatori di servizi pubblici locali. Non si tratta solo dell’auspicabile sterzata produttiva verso la realizzazione di pannelli solari, di pale eoliche, di materiali per la mobilità sostenibile, di apparati per il rinnovo degli impianti idrici. Ci vuole soprattutto una messe di progetti e scelte, che mettano al centro la possibilità di cominciare a produrre energia in maniera diffusa e decentrata, e insieme avviare processi di riassetto e rinaturalizzazione del territorio. Progetti che possono essere disegnati in pochi mesi e scelte che possono essere varate e portate a realizzazione in pochi anni.
Centrale Gas Eni a Casalborsetti
In questo senso, i Comuni potrebbero/dovrebbero farsi motori di una vastissima campagna d’informazione e di promozione rivolta alla cittadinanza, accompagnare le famiglie e le imprese, mettendo – quando necessario – a disposizione le proprie competenze tecniche, nei percorsi di ristrutturazione delle abitazioni o nelle scelte sulla mobilità, farsi garanti con gli istituti di credito, quando i consumatori lo necessitino, per accedere a fondi destinati a interventi ecologicamente qualificanti. Ma, molto di più, le Amministrazioni locali dovrebbero avviare esse stesse la ristrutturazione dei propri stabili (uffici, scuole, strutture sportive, centri culturali e ricreativi ecc.) e dotarli di tutto quanto necessario per produrre energia nella forma più compatibile, e adottare scelte di vero risparmio energetico. Realizzazioni che potrebbero e dovrebbero poi essere i nuclei di partenza per la creazione di Comunità Energetiche interessanti il quartiere, la frazione, le aziende presenti nel territorio circostante.
Un esempio, piccolissimo ma illuminante: chi scrive, alcuni mesi fa – nella veste di presidente di un Comitato Cittadino del forese sud – ha inviato una lettera all’Assessore alla Transizione Energetica, richiedendo che la ex scuola della frazione venga ristrutturata (la necessità della ristrutturazione era già stata inserita più volte fra le priorità indicate dal competente Consiglio Territoriale) secondo criteri di massima sostenibilità, e che a partire da tale intervento si crei una comunità energetica, coinvolgente le abitazioni della frazione. Ebbene, tale richiesta non ha ricevuto alcuna risposta, nemmeno argomentatamente negativa, con la quale ci si sarebbe potuti almeno confrontare. Segno che – vorremmo sbagliarci – non vi è da parte di chi amministra un’ effettiva volontà di attivarsi con decisione, e semplicemente si attende di scoprire quali saranno le decisioni centrali per poi ad esse adeguarsi. Ma nel mentre, il tempo passa, l’inquinamento e il disastro climatico peggiorano, gli obiettivi di decarbonizzazione si allontanano.
Pertanto, come sempre, è necessario un movimento, che incalzi i Comuni e i suoi strumenti. Èquesta la strada per mettere all’ordine del giorno, con la lotta, quali siano le scelte giuste nelle azioni e nell’ uso delle risorse finanziarie destinate alla “transizione”. Solo così si può prospettare una svolta: scelte coraggiose, anche unilaterali, da parte di alcuni Comuni, che naturalmente all’inizio disegnerebbero una prospettiva “a macchia di leopardo”, potrebbero innescare, contando sulla replicabilità e la diffusione, processi analoghi in altri Comuni e in altre istituzioni di livello superiore.
La presa di parola delle periferie, sociali e istituzionali, può mettere le comunità in grado di affrontare un futuro caratterizzato per molto tempo ancora dalla crisi climatica e ambientale. La costruzione di una sostanziale “produzione diffusa e democratica” è la via che permetterebbe di trasformare la realtà senza dover aspettare riforme globali, ed anzi – probabilmente – in grado di sollecitare e promuovere anche queste».