«Nove case-famiglia non rispettano il regolamento comunale. La Municipale che fa?»

In tutto 75 strutture. Interrogazione del consigliere comunale Ancisi (Lpr): dopo la sua richiesta di atti l’ufficio competente ha scritto ai vigili per avere informazioni sull’esito dei controlli. A marzo il caso di Sant’Alberto con i maltrattamenti agli anziani

Img01In media una casa-famiglia su dieci tra quelle attive nel territorio del comune di Ravenna non rispetta il regolamento approvato da Palazzo Merlato due anni fa. Lo rende noto Alvaro Ancisi, consigliere comunale con Lpr, sulla base della documentazione ottenuta dagli uffici competenti. Nello specifico le strutture sono circa 75 e quelle inadempienti risultano dieci (tra cui anche l’Oscar Patrizia di Sant’Alberto chiusa alla fine di marzo dopo un blitz dei carabinieri per maltrattamenti alle sei ottantenni ospiti). E tre giorni dopo l’accesso agli atti fatto dal decano dell’opposizione, gli uffici competenti hanno inviato una lettera alla polizia municipale per chiedere cosa sia stato fatto per le strutture inadempienti. Già a ridosso del caso Sant’Alberto, Ancisi aveva sostenuto che se il Comune avesse fatto rispettare il suo stesso regolamento quella casa-famiglia sarebbe già stata chiusa. Ancisi non usa mezzi termini: «Emergono le inadempienze di tali strutture da un lato e la latitanza dell’amministrazione dall’altro».

Il regolamento ricordato entro in vigore a maggio 2016 introducendo una serie di obblighi e requisiti a cui le case-famiglia esistenti avrebbero dovuto, a garanzia della qualità e della sicurezza del servizio, adeguarsi entro sei mesi. Ancisi ricorda alcuni di questi requisiti: «La carta dei servizi prestati alla clientela e la cartella sanitaria di ogni ospite contenente il suo piano di assistenza individualizzato (Pai) e l’attestato dell’Unità di valutazione geriatrica sulla sua idoneità ad essere accolto nella struttura, ma soprattutto la presenza di operatori con idonea qualifica o esperienza professionale, coordinati da un responsabile del servizio, in grado di coprire le 24 ore giornaliere con turni settimanali/mensili esposti». Sempre Ancisi cita i passaggi fondamentali della vicenda. A marzo del 2017, constatato che 24 case-famiglia non avevano ancora risposto, il servizio comunale competente per le attività economiche (Suap) trasmise a ciascuna una diffida a farlo entro 15 giorni, pena le sanzioni previste dal regolamento. A maggio 2017 la dirigente del Suap segnalò alla polizia municipale l’elenco delle 12 strutture che non avevano mai dato segni di vita, ridotte a 10 il 23 agosto con una ulteriore segnalazione.

Quello che lascia perplesso il consigliere comunale è una lettera del 17 maggio 2018 indirizzata dal Suap alla polizia municipale: “Facendo seguito alla nota del 10 maggio 2017, rettificata con nota del 23 maggio 17 con la quale si trasmetteva, ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste, l’elenco delle case-famiglia che, nonostante le diffide notificate, non avevano ancora presentato documentazione di adeguamento al Regolamento, non essendo a tutt’oggi pervenuta al servizio scrivente informazione in merito, si chiede con la presente di avere notizia circa le azioni intraprese dal servizio in indirizzo». In buona sostanza, gli uffici comunali chiedono ai vigili urbani: cosa avete fatto per quelle strutture che sapevate non essere in regola?

Il Suap chiedeva alla Pm di valutare l’applicazione delle sanzioni previste dal Regolamento cioè una multa da 75 a 500 euro. «Il problema non è peraltro limitato all’applicazione delle multe – dice Ancisi –, bensì al fatto che le case famiglia in questione, poste di fronte ad una prima sanzione, così ricevendo un segnale che il Comune faceva sul serio, avrebbero potuto essere indotte a comportarsi seriamente esse stesse. Ma soprattutto che si sarebbe dovuto andare oltre, applicando lo stesso regolamento, che affermano che, accertata “l’assenza di uno o più requisiti”, deve essere instaurato un procedimento che entro breve termine, perdurando l’inadempienza, “comporta la sospensione dell’attività”, la sanzione più grave sul piano amministrativo. Fuor di dubbio, del resto, che di ogni azione della Pm in tal senso, il Suap avrebbe dovuto essere informato».

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