«Nuova patrimoniale? Serve una riforma complessiva, per un fisco più equo»

Il segretario provinciale del Pd sull’emendamento al vaglio del Governo: «Non bastano proposte parziali o improvvisate»

Alessandro.Barattoni

Il segretario provinciale Alessandro Barattoni

Dopo aver intervistato  l’ex parlamentare Giovanni Paglia sulla sua proposta di una nuova patrimoniale, abbiamo chiesto un intervento ad Alessandro Barattoni, segretario provinciale del Pd, partito che a livello nazionale è risultato spaccato (e piuttosto freddo, in generale) sull’emendamento, recentemente riammesso al dibattito sulla Manovra di bilancio.

Pubblichiamo qui integralmente l’intervento di Barattoni (sintetizzato sull’ultimo numero del nostro giornale), che ha preferito svolgere un’analisi più generale e, comunque la si pensi, di certo interessante.

«È a mio avviso fondamentale inserire qualsiasi proposta che riguardi il patrimonio mobiliare o immobiliare dei cittadini in una riforma complessiva del sistema tributario che tenga conto: delle imposte sui redditi che oggi sono pagate per oltre l’80% da dipendenti e pensionati, delle alte tassazioni sul lavoro (è importante ma non ancora sufficiente quanto fatto dal governo attuale sul cuneo fiscale) e delle ancora insufficienti agevolazioni sugli investimenti produttivi. Oltre che di un impegno extra, necessario, nel campo dell’evasione.

Questa riforma dovrebbe avere l’ambizione di ridurre le disuguaglianze e dare più opportunità ai tanti che oggi non le hanno, e allo stesso tempo si sentono vessati o minacciati dal fisco. Un emendamento ha per sua natura alcuni limiti di visione generale, quello presentato da alcuni deputati sulla imposta progressiva per i patrimoni sopra i 500 mila euro credo abbia il merito di sollevare un tema importante, io vorrei provare ad analizzarlo e contestualizzarlo facendo alcune premesse.

Veniamo da anni di stagnazione, poca crescita e congelamento della ricchezza. Tutte le ricerche evidenziano come, pur susseguendosi periodi di stagnazione e crisi, rimangano sempre inalterate la concentrazione e la distribuzione della ricchezza. Sia la crisi del 2008 che le due ondate pandemiche del 2020 non stanno pesando su tutti gli italiani allo stesso modo. In questo condizioni parlare di progresso sociale, meritocrazia o riduzione delle disuguaglianze generazionali, territoriali, sociali o di genere senza cambiare nulla rischia di diventare un mero esercizio retorico: infatti, sempre di più negli ultimi anni, dove nasci e in quale famiglia cresci incidono nella vita futura di ragazze e ragazzi come mai in passato.
Per questo serve riformare tante cose, anche a livello di fiscalità generale.

Dopo anni nei quali gran parte dell’elettorato invocava “meno Stato” e in generale alle pubbliche amministrazioni veniva richiesto di intervenire meno possibile, oggi ai servizi pubblici viene chiesta una nuova centralità nell’azione di governo a tutti i livelli, dal nazionale al locale che si parli di scuola, sanità o sociale è opinione condivisa da molti che sia necessario e fondamentale un nuovo intervento pubblico, per forme e dimensioni.
Tanti principii  che hanno accompagnato l’economia europea negli ultimi lustri non sono più considerati intoccabili: dalle raccomandazioni sul rientro del debito pubblico per i paesi più indebitati come il nostro al rispetto del rapporto deficit/Pil.

Per tutti questi motivi, se vogliamo che gli aumenti di spesa pubblica, compresi gli aiuti in tempi di lockdown, vengano adeguatamente finanziati e non gravino tutti sulle generazioni future che già sono fra le meno garantite, se auspichiamo che si possa uscire dalla povertà e che una classe media si possa ricostruire, sono necessarie nuove politiche progressiste che facciano ripartire l’ascensore sociale. Per farlo è importante discutere di come le istituzioni impostano la spesa ma anche del modo nel quale i cittadini contribuiscono al bilancio pubblico. Può essere questo il momento giusto per parlarne? Penso di sì, per le premesse fatte e a patto che si ritenga che l’approdo finale debba essere un paese più equo e giusto, non il semplice ritorno al periodo pre-pandemia.

Perché servono correzioni a un sistema che oggi tassa molto più i redditi che le rendite e che negli anni (anche quando al governo c’era il Partito Democratico) ha erogato tanti, troppi bonus slegati dal reddito: serve maggiore progressività e questo emendamento ha comunque il merito di proporla.

In questo paese esistono già due imposte patrimoniali in quanto oltre all’imposta di bollo sui conti correnti bancari e sui depositi di titoli, c’è l’Imu con alcuni evidenti storture. Un’imposta con forti limiti perché nel tempo non si sono poste correzioni sia rispetto alle mancate esenzioni, sia al fatto che attualmente la si paghi in base al numero di immobili indipendentemente dal loro valore. Ad esempio se si è ereditata una casa in campagna di poco valore si paga l’imu a differenza di immobili di pregio intestati come abitazione principale che ne sono esentati. L’emendamento propone invece l’idea corretta di valutare non la quantità ma il valore degli immobili, al netto delle passività finanziare. Credo sarebbe comunque necessario, come precondizione quando si parla di tassazione sul patrimonio immobiliare, partire da una revisione delle rendite catastali.

In mesi complicati come quelli che come italiani stiamo vivendo se si vuole portare realmente a termine una riforma non bastano proposte parziali o improvvisate, sulle quali è giusto confrontarsi, ma serve una visione complessiva, per poi mettere in atto una  indispensabile revisione generale del rapporto fra cittadini e fisco. Le tasse costituiscono un momento fondamentale nel quale un cittadino contribuisce alla vita della propria comunità, occuparsi solo di una parte di esse senza proporre per esempio modifiche a quelle sui redditi è una risposta parziale alle problematiche iniziali. Allo stesso modo in periodo di pandemia discutere di nuove tasse senza affrontare il tema delle tassazioni sul lavoro, sulle rendite improduttive e sugli investimenti  rischia di farci accantonare il tema ineludibile della crescita. In Italia spesso si sommano tasse a vari livelli, ci sono grovigli incomprensibili ai più. Oltre che maggiore equità serve anche maggiore semplicità: per ricostruire un necessario rapporto di fiducia fra gli italiani, il fisco e la spesa pubblica.

Insomma discuterne senza fiducia reciproca è già difficilissimo, farlo senza proporre ai cittadini una visione generale, senza i doverosi passaggi politici almeno dentro le forze di governo, i confronti con sindacati, associazioni di categoria e corpi intermedi rischia di complicare ulteriormente le cose. Senza questo, senza la fatica di provare a ristabilire una relazione positiva ogni riforma rischia di infrangersi al primo scoglio.

Il governo ha annunciato qualche settimana fa la prossima presentazione di una legge delega sul fisco. Quello credo sia il luogo adatto per confrontarsi pubblicamente su un tema così delicato. Dove la politica si possa sfidare sui cambiamenti necessari  per finanziare la crescente spesa pubblica e i nuovi bisogni che stanno emergendo al fine di dare più opportunità e speranza a tanti, il luogo dove confrontare le visioni complessive e generali per discutere di un fisco più equo, comprensibile e giusto».

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