Barattoni: «Prima dei nomi, serve ritrovare un’identità partendo dal lavoro»

Il segretario provinciale Dem sulle primarie: «Non ho ancora deciso chi sostenere, per coerenza attendo di leggere le mozioni. Questa fase dovrebbe essere costituente». Le regole del voto

Alessandro Barattoni. Assemblea PD Dicembre 2021

Alessandro Barattoni

Alessandro Barattoni è segretario del Pd ravennate dal 2017 e con lui cerchiamo di capire cosa sta succedendo al partito in questa fase “costituente” e cosa ci si può aspettare dalle primarie del 26 febbraio che al momento vedono in campo quattro candidati: l’ex ministro Paola De Micheli, il presidente della Regione Stefano Bonaccini e i parlamentari Gianni Cuperlo ed Elly Schlein (appena rientrata nel partito). Una costituente che arriva dopo la sconfitta alle ultime politiche che ha visto anche in provincia di Ravenna, per la prima volta, prevalere i candidati della destra negli scontri diretti.

Segretario, che clima c’è tra gli iscritti?
«Di attesa, anche perché il prossimo fine settimana l’assemblea del Pd dovrebbe votare un nuovo manifesto dei valori, frutto del lavoro dei saggi ma anche delle risposte arrivate dai territori attraverso i sondaggi che abbiamo fatto negli ultimi mesi».

In realtà il dibattito sembra essersi incentrato molto sulle regole e i tempi, non proprio una tematica così appassionante per i comuni cittadini…
«Siamo una comunità politica organizzata, discutere di tempi e modalità è importante per qualsiasi processo democratico e su questo non credo si possano muovere critiche. Mi dispiace però che finora non si sia fatto fino in fondo ciò che si era detto all’indomani delle elezioni».

Dopo la più grave seconda sconfitta elettorale di fila…
«Credo servisse una discussione profonda per capire per esempio perché tanti dei nostri elettori non sono andati a votare, o ci sono andati con scarsa convinzione. Non è solo “voglia di cambiamento”, c’è qualcosa di più profondo. E infatti questa dovrebbe essere una fase costituente per rivedere il documento fondativo del 2007 che risentiva ovviamente di una situazione economica, culturale e politica molto diversa da quella di oggi. Allora c’era un grande ottimismo rispetto agli effetti che la globalizzazione avrebbe avuto sul mondo occidentale e anche politicamente si immaginava un bipolarismo che spingeva a tenere insieme anime diverse nella stessa formazione in nome dell’alternanza fra centrodestra e centrosinistra che avrebbe dovuto continuare a far progredire il paese e la qualità della vita della maggior parte delle persone».

Il famoso partito del “ma anche” di Veltroni, come lo definì spietatamente Crozza.
«Diciamo che allora, per questi motivi, si sacrificò una parte di identità. Oggi il mondo è completamente cambiato: la globalizzazione ha permesso a milioni di persone di uscire dalla povertà assoluta ma allo stesso ha anche provocato nuovi e più forti divari nel mondo occidentale e in particolare in Europa. E l’eccesso di diseguaglianze nel nostro paese è diventato una zavorra pesante per l’economia e la democrazia. Tant’è che sempre più spesso fasce di reddito medio/basso non esercitano il diritto al voto. Per questo credo che dovremmo ritrovare un’identità, che idea di futuro abbiamo e a chi vogliamo parlare e chi vogliamo rappresentare nelle contraddizioni di oggi e un sistema partitico che vede almeno quattro poli contrastarsi».

Lei cita spesso il tema del lavoro, e non solo lei nel partito per la verità. Ma è stato il Pd a votare il Job Acts nemmeno troppi anni fa…
«Sì, credo che dovremmo mettere al centro un tema come il lavoro, superando quelli posti dal Job Acts. Oggi vediamo sempre più lavoratori precari e poveri e le imprese faticano a trovare personale nonostante la disponibilità a formare e anche a stabilizzare perché molte posizioni non corrispondono a desideri e aspettative di chi cerca lavoro. Forse in questo c’è anche l’effetto della pandemia, ma di certo abbiamo potuto toccare con mano che precarizzare il lavoro non porta alla piena occupazione e anzi riduce non solo le tutele individuali, ma anche i fondi per il welfare i cui bisogni invece aumentano. Di questo dobbiamo occuparci. Serve cambiare le lenti con le quali leggiamo i problemi per avanzare proposte nuove e riconoscibili. Non è una ridotta identità, è una necessità. Così come dobbiamo occuparci dei lavoratori autonomi che di fatto sono lavoratori subordinati e che devono avere maggiori tutele o di come sul lavoro dipendente servono ragionamenti che tengano conto anche della possibilità della riduzione dell’orario. La risposta non sono né i voucher né l’insufficiente riduzione del cuneo fiscale adottate dal governo. Quanto potrà durare un welfare universalistico con un fisco corporativistico e non progressivo?»

E però la sensazione è che il Pd non lo stia facendo, così come non sta facendo opposizione de- gna di tal nome al governo di destra. Cosa si è inceppato?
«Personalmente credo sia stato un errore il fatto che, a differenza di quanto accaduto in passato con Renzi per esempio, Letta e il gruppo dirigente non si siano fatti da parte dopo le elezioni per la fase di transizione congressuale. E questo mentre ci troviamo in una situazione senza precedenti, perché non siamo più il solo partito di opposizione, ma siamo all’opposizione con due forze che possono anche erodere consensi a noi e con cui invece dovremmo coordinarci, sia in parlamento, sia a livello locale per comporre coalizioni in grado di battere la destra (al contrario di quanto sta accandendo in Lazio dove il Pd non è alleato con i 5Stelle e in Lombardia, dove è alleato con i 5stelle, ma non con il terzo polo, ndr.)».

Da più parti per esempio vi accusano di non aver attaccato Meloni sulle accise sulla benzina, in particolare.
«Le accise sono un tema, ma anche la flat tax per le partite Iva fino a 85 mila euro, la scelta dei porti del nord per i migranti; in generale la destra sta portando avanti operazioni culturali fortissimme o la sinistra si attrezza per un’offerta politica adeguata o il rischio che la volatilità del voto riguardi solo il nostro elettorato c’è».

Dunque ora il Pd si trova in una sorta di guado: un dibattito a metà, una scarsa efficacia come opposizione, la vecchia dirigenza sconfitta ancora ai vertici. Però ci sono i nomi dei candidati sul tavolo. Chi la convince di più? Chi potrebbe impersonare di più il cambiamento secondo lei necessario?
«Anche per coerenza e rispetto di quei tempi che ci eravamo dati, sono in attesa. Le candidature del resto si possono presentare dal 23 al 27 gennaio. Voglio leggere le mozioni e le proposte dei diversi candidati prima di decidere».

Il fatto che Bonaccini, dato al momento per favorito, sia anche il presidente dell’Emilia-Romagna la preoccupa in qualche modo?
«Sono sicuro che abbia valutato la questione, è evidente che è molto difficile ricoprire entrambi i ruoli perché da un lato, se sarà eletto, come capo di partito dovrà essere necessariamente di parte, dall’altro come figura istituzionale dovrà invece continuare a rappresentare tutti gli emiliano-romagnoli. In entrambi i ruoli avrà sicuramente bisogno di un gruppo dirigente capace di interpre- tare questa dualità».

Ed Elly Schlein? Un’esterna al partito che si è appena iscritta? La convince?
«In questi giorni vediamo anche a Ravenna persone che si sono iscritte al Pd grazie alla spinta della sua candidatura e questo è un valore aggiunto. Non mi convince la retorica secondo cui da una parte ci sarabbero gli amministratori e dall’altra la società civile. E vorrei invitare tutti i candidati a esprimersi sulla loro idea di partito, su come si selezionano, si organizzano e si formano le persone, anche questo è il ruolo della politica».

Primarie Pd 5 3Le regole delle primarie: aperte il 26 febbraio, voto online solo per chi non può recarsi al seggio

Rispetto alle ultime primarie del 2019, quando fu eletto segretario Nicola Zingaretti (a Ravenna con oltre il 68 percento delle preferenze), gli iscritti al Pd sono scesi a poco più di tremila e l’asticella di aspettativa della partecipazione, in via della Lirica, si colloca poco sopra i 10mila votanti complessivi, parametrati alle aspettative nazionali. Nel 2019 i partecipanti furono oltre 19mila, oltre 22mila nel 2013 e addirittura oltre 42mila nelle consultazioni precedenti.
Altri tempi, ma le modalità di voto restano grosso modo le stesse. Prima solo gli iscritti al partito entro il 31 gennaio voteranno le mozioni e i relativi candidati nei circoli (dal 3 al 12 febbraio), poi il 26 febbraio ci saranno invece i seggi allestiti dal Pd per chiamare iscritti ed elettori (o almeno chi è disposto a dichiararsi tale) per scegliere tra i due nomi che hanno ottenuto più voti tra gli iscritti. Due euro per i non iscritti, nessun obolo per i tesserati. Ammessi al voto anche 16enni e cittadini stranieri.
L’unica novità di rilievo è il voto online, che sarà però concesso solo a chi sarà registrato entro il 12 febbraio nell’apposita piattaforma e potrà dimostrare di avere impedimenti oggettivi a recarsi al seggio (per esempio lavoratori o studenti fuori sede).
Si vota dalle 8 alle 20 e saranno ancora una volta un’ottantina i seggi allestiti in provincia per cui sarà data opportuna comunicazione nei giorni precedenti il voto. Al momento in cui andiamo in stampa sono nati in provincia comitati a sostegno di tre dei quattro candidati noti: Stefano Bonaccini, favorito, Elly Schlein e Gianni Cuperlo. Mancano all’appello (per ora) sostenitori di Paola De Micheli.

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