La scienziata nella Svezia anti-lockdown: «Teoria su basi incerte, io resto a casa»

Daria Dall’Olio si occupa di astrofisica e sta facendo il dottorato di ricerca a Goteborg: vive divisa a metà tra le cronache italiane e la linea del Paese scandinavo che si fida dei cittadini. Chiuse solo università e scuole superiori, palestre e ristoranti aperti, con il consiglio di stare distanti

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Una via del centro di Stoccolma, foto dal sito di Repubblica

La Svezia va avanti come se il coronavirus non esistesse e allora lei, 38enne di Ravenna che vive a Goteborg e legge le cronache italiane, si è fatta il suo lockdown personale. «Chiusa in casa con mio marito e nostro figlio che non ha ancora un anno – dice Daria Dall’Olio, astrofisica e ricercatrice universitaria –. Usciamo per due passi una volta al giorno per salvare la salute mentale e nient’altro. Anche la spesa la facciamo online con consegna a domicilio».

Il primo caso accertato di Covid-19 in Svezia risale all’1 febbraio. Da allora le positività sono diventate oltre seimila e i morti quasi quattrocento. Ma il Governo non ha imposto limitazioni stringenti ai suoi cittadini. Ristoranti, bar, negozi, attività, uffici, aziende, parchi, palestre, cinema: tutto aperto. «Sono chiuse solo università e superiori, cioè le scuole frequentate da chi può restare a casa senza bisogno di un genitore che quindi può continuare a lavorare, soprattutto se fa parte del personale sanitario».

Nelle ultime ore, mentre pubblichiamo questo articolo, sembra farsi largo l’ipotesi di introdurre alcune limitazioni. Finora il Governo, fiducioso nel senso civico dei suoi cittadini, ha ritenuto sufficiente invitare tutti a favorire il telelavoro, osservare le norme del distanziamento sociale tenendosi a 1,5 metri, non radunarsi in più di 50 persone, nei luoghi di ristorazione servizio solo al tavolo. «È vero che generalmente gli svedesi seguono i suggerimenti dalle autorità – dice la scienziata emigrata in Svezia cinque anni fa – ma non scadiamo nello stereotipo: anche qui c’è chi se ne frega. E quando usciamo per la nostra passeggiata si vedono le persone in giro. Autobus e tram sono meno affollati ma in altri contesti non c’è grande differenza rispetto alla situazione precedente al virus». E così per chi ha un orecchio rivolto alle vicende italiane, diventa ancora più difficile: «È straniante. Abbiamo una casa piccola ma abbiamo deciso che è meglio non uscire».

A dettare la linea dello Stato è Anders Tegnell, medico epidemiologo e direttore dell’agenzia di sanità pubblica: si cerca di rallentare l’epidemia perché si pensa che bloccarla sia impossibile e bisognerà conviverci fino al vaccino. Far circolare il virus lentamente per non intasare gli ospedali. «Potrebbe essere anche una posizione all’apparenza con una sua logica – riflette la ravennate – ma fatico ad avere fiducia da quando ho cercato maggiori informazioni sui fondamenti delle sue parole e ho trovato delle contraddizioni. E sono cose che si trovano sulle riviste scientifiche. Ad esempio si sostiene che gli asintomatici non sono un problema. La stessa Oms dice altro». Le voci dissidenti non mancano tra le fila del sistema sanitario svedese. Una lettera firmata da medici e infermieri ha raccolto duemila sottoscrizioni tra cui anche dai vertici della fondazione per il Nobel: «Hanno messo in luce i tagli ai posti letto e al personale».

E poi c’è pur sempre la matematica a cui aggrapparsi: «Non sono un medico ma le curve esponenziali le so leggere bene e quelle non mentono: i casi stanno crescendo come crescono altrove». Non solo la matematica, diventa questione di metodo scientifico: «Quando proponi una teoria nuova questa deve avere un vaglio dalla comunità scientifica. Se non ha nessun appoggio allora cosa stai proponendo?».

Per la ricercatrice si sono ribaltati i ruoli disegnati dagli stereotipi: è lei italiana a essere rigida mentre gli svedesi la prendono con più leggerezza. «Stavo lavorando part-time e ora lavoro da casa cercando di completare il mio dottorato ma non è facile con un bimbo piccolo ancora da allattare. Contavo di concludere a settembre ma forse dovrò rivedere i piani».

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