La follia di Nietzsche: un labirinto mentale nelle crittografie di Marchi

Fino al 15 giugno alla galleria Monogao di Ravenna la complessa opera concettuale dell’artista riminese

Opere Giulia MarchiTorino, gennaio 1889: in una città in cui risiede da alcuni mesi, Nietzsche scrive le sue ultime lettere, prima del crollo psichico totale. Alcuni dei destinatari sono persone amate come Franz Camille Overbeck e Cosima Wagner; altri invece distanti o diventati tali nel tempo. Con alcuni non ha avuto nessun rapporto diretto – il re Umberto I –, con altri di lavoro o di stima a distanza. Si tratta comunque di testi inquietanti – scritti anche formalmente in modo del tutto diverso dalla solita grafia utilizzata dal filosofo – che una lettura razionale non riesce a penetrare sia che tenga conto dei nuclei del pensiero filosofico precedente, sia che semplicemente accolga i contenuti in un verosimile contesto quotidiano, in cui si parla di conti da pagare o di stivali rotti. Il problema di questi testi – ripubblicati da Adelphi nel 2008 – è costituito da un linguaggio frammentato, metaforico, in cui il tono profetico si alterna ad affermazioni deliranti, in cui il soggetto trapassa da incarnazioni repentine a dettagli di fatica quotidiana.

A lungo indagato, si è tentato di comprendere quanto di questo epistolario sia frutto di elaborazioni ancora ammantate da logica, magari criptate e da decodificare, o quanto sia testimonianza dell’esplosione della malattia mentale. La potenza delle ultime parole ha sempre un fascino inattaccabile e anche in questo caso – grazie anche alla statura dello scrittore – le 21 lettere da Torino incarnano un simbolo inconoscibile per quanto legittimamente soggetto a interpretazioni.

Il cavallo fustigato a sangue e abbracciato da un Nietzsche in lacrime è un avvenimento contestato da alcuni ricercatori ma è carico di un potere narrativo drammatico che per la vulgata comune – e la pura necessità umana di proiettare una concatenazione necessaria negli eventi – anticipa bene, giustificandolo, il crollo nervoso. È comunque il termine antequem di questa eredità, l’avvenimento fortuito che il filosofo avrebbe letto come destino e parte integrante della propria vita. O forse di tutte le vite, quando Nietzsche afferma «Io sono tutti i nomi della storia», scrivendo l’affermazione nella sua ultima lettera al maestro e storico Jacob Burckhardt.

Seguendo la lettura di Luca Lupo, più che di un delirio di onnipotenza, l’affermazione potrebbe essere interpretata come consapevolezza da parte dell’uomo-Nietzsche di essere una semplice somma di punti precedenti, un’onda in perpetuo movimento in cui trapassano le precedenti – vite e azioni, eventi e pensieri – e a cui seguiranno altre onde simili, incessantemente. In questa transinvidualità di cui Nietzsche appare consapevole, il linguaggio si arrende alla follia, lo stato per eccellenza disposto ad accogliere in modo totale la verità dell’assenza di senso. La razionalità supera le colonne d’Ercole dei propri territori e – anche a costo della vita – si abbandona all’innocenza del divenire rinunciando al centro, all’io. In questa dissoluzione quasi programmatica – se la follia potesse essere una scelta della ragione – diventa importante quel flusso continuo di vite che verranno, che prendono e prenderanno in mano i testi di Nietzsche, ben consapevole anche in queste ultime testimonianze del proprio eccezionale contributo.

Opere Giulia MarchiFra queste onde si inserisce il contributo di Giulia Marchi (Rimini, 1976), che nella Galleria Monogao di Ravenna allestisce la mostra dal titolo “Corrispondenze al Sig. F.”, composta da 21 moduli – quante le ultime lettere di Nietzsche – e una lettera autografa dell’artista a un anonimo destinatario. Il metodo di lavoro dell’artista ci ha abituato a un forte concettualismo in grado di utilizzare in modo quasi indifferente i materiali.

Quel che importa è il rigore del lavoro, operare con scientificità, evitare l’incidente e il caso tranne che non siano contemplati nella strategia del lavoro stesso. Unica eccezione è la possibilità di un caso che scelga la persona, preparata a riconoscerne il messaggio. Importante è quindi il backstage di questo lavoro: l’artista ha digitalizzato le ultime 21 lettere di Niezsche e le ha inserite nel computer, togliendo però dai testi l’alfabetizzazione.

Il risultato restituito è incongruente: il computer non riconosce i testi e rende un codice errore composto da lettere, segni grafici e numeri. In questa crittografia inventata – oppure semplicemente tradotta dalla macchina – l’artista inserisce gradualmente alcune parole, selezionate dalle lettere. I criteri di scelta di questi relitti di senso – circa un centinaio – si basano su un criterio oggettivo di reiterazione nelle lettere di alcune parole.

Il secondo criterio si basa su una personale rivelazione di senso all’artista, un incontro con parole che la mettono in posizione più prossima ad una possibile, irraggiungibile comprensione. Le 21 risultanti – tante quante le ultime testimonianze del filosofo – vengono impresse su matrici di zinco, a loro volta su carta cotone bianca: la restituzione dei moduli finali è impressionante nella sua adamantina purezza. Sui muri si snoda una candida crittografia in cui ogni segno – non solo le parole compiute – diventano muri di un labirinto mentale: da seguire, per arginare una sensazione di percorso. Ma senza via di uscita. A fianco, in galleria, si aggiunge un lavoro singolo che procede dalla stessa fonte: Marchi scrive a macchina quattro lettere private – una sola in mostra – ad altrettanti destinatari per lei importanti, utilizzando la selezione delle 100 parole dall’ultimo epistolario di Nietzsche. In queste Lettere alla follia, le parole galleggiano come residui di senso a cui lo spettatore non può accedere, a cui forse neanche l’artista può imprimere una verità univoca di senso. E in questo naufragio della ragione, in questo abbandono all’innocenza del divenire, riprendono forza le ultime visioni di Nietzsche.

“Corrispondenza dal signor F.”, di Giulia Marchi. Fino al 15 giugno, galleria Monogao21  (via Alberoni 5), Ravenna. Orari: ven-sab-dom, dalle ore 18 alle 21.

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