Hera, che modello si sta difendendo?

La vicenda dei rifiuti non ha solo a che fare con un disservizio importante. Da come si uscirà da questa vicenda, e forse in qualsiasi modo se ne uscirà, potrebbe scaturire una riflessione sempre presente nel dibattito politico che per una volta potrebbe portare a conclusioni un po’ diverse dal solito gioco delle parti, forse anche dentro lo stesso Pd. Una riflessione politica che ha a che fare con il ruolo del pubblico e del privato, con la forma di Hera a maggioranza pubblica, ma una maggioranza divisa tra tanti soci di territori anche molto diversi, gestita come un’azienda privata. Vedere il sindaco che sbraita e chiede le scuse o il segretario del Pd tuonare «Mai più» rischia di apparire più come una dichiarazione di impotenza che altro. In teoria, ci hanno detto in questi anni, Hera è anche nostra. Ma la verità è che ormai questo essere anche nostra rischia di ridursi ai dividendi che produce ogni anno il pacchetto azionario in mano a Ravenna Holding (si badi bene, non al Comune di Ravenna, che ne è sì il socio principale ma non l’unico) e poco altro. La guida, l’indirizzo politico, dove sono? E a cosa servono? Il problema si pone in modo quanto mai articolato in previsione della grande gara quindicennale che dovrà essere bandita a breve. Perché se l’indirizzo si limita a indicare, peraltro sulla base della legge regionale, obiettivi e modalità, beh, a cosa serve avere una quota in una delle società che potrebbe vincere l’appalto? Per ottenere gli utili? Non sarebbe meglio ottenere uno sconto sulla Tari? E comunque, forse, come dice l’opposizione di centrodestra da tempo immemore, non sarebbe davvero meglio vendere il pacchetto azionario nelle modalità più consone per ottenerne un massimo profitto e pensare di fare investimenti per la città che possano generare sviluppo, lavoro e quindi ricchezza per la collettività? Ecco, in un caso come il disservizio a cui assistiamo, se il Comune più che sbraitare e chiedere penali, come farebbe o potrebbe fare con qualsiasi altro fornitore di un servizio, fosse solo un semplice cliente della multiutility, cosa cambierebbe davvero? Anche perché questa benedetta proprietà pubblica, essendo di fatto sminuzzata tra mille territori diversi, quando riesce davvero a farsi sentire in fase decisionale? Forse il modello poteva funzionare in un mondo in cui tutti i Comuni erano guidati dallo stesso colore politico e quel colore politico aveva indirizzi certi e chiari e univoci e l’autorevolezza di imporsi nel bene e nel male sulle locali classi politiche. Ma ora che non sembra più essere così e difficilmente potrà esserlo in futuro, la realtà è un singolo comune resta un azionista di minoranza  e che come tale naturalmente può fare ben poco. E chi a sinistra continua a difendere questo modello, a questo punto, cosa sta difendendo esattamente?

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