I giudici della corte d’assise d’appello di Bologna vogliono interrogare tre ex carabinieri, in servizio nel Ravennate negli anni Ottanta, per fare luce sull’omicidio di Pier Paolo Minguzzi, un 21enne carabiniere di leva di Alfonsine rapito il 21 aprile 1987 per estorsione e trovato morto dieci giorni dopo. È la decisione presa nell’udienza di oggi, 10 luglio. Gli interrogatori si terranno il prossimo 18 settembre. Uno dei tre testimoni, durante la deposizione resa in primo grado, disse esplicitamente di essere stato ostacolato nelle indagini svolte 38 anni fa.
Nel processo di primo grado celebrato a Ravenna, arrivato a sentenza il 22 giugno 2022, sono stati assolti i tre imputati (qui le motivazioni): il 60enne Orazio Tasca, originario di Gela (Caltanissetta) oggi residente a Pavia, il 61enne Angelo Del Dotto di Palmiano (Ascoli Piceno) e il 69enne Alfredo Tarroni di Alfonsine. All’epoca dei fatti i primi due erano carabinieri in servizio alla stazione di Alfonsine, il terzo era un loro amico che faceva l’idraulico nel paese.
I tre si sono sempre dichiarati innocenti, negando collegamenti con un’altra vicenda dai contorni molto simili che invece li vide protagonisti a luglio 1987: l’omicidio di un altro carabiniere che portò a tutti condanne ultraventennali (già scontate). Tarroni, Del Dotto e Tasca furono arrestati in flagranza a Taglio Corelli, frazione di Alfonsine, dopo una sparatoria in cui rimase ucciso il 23enne Sebastiano Vetrano, raggiunto da un colpo sparato da Del Dotto con un revolver di Tarroni (qui la cronologia dei fatti di quel 1987).
La volontà di riesaminare i tre testi arriva dopo la deposizione di una perizia fonica disposta dalla corte di Bologna per confrontare le voci degli imputati con le telefonate estorsive ricevute dai familiari della vittima.
Secondo i periti Chiara Meluzzi e Sebastiano Battiato c’è una forte compatibilità per quanto riguarda Tasca, che ammise di essere stato il telefonista anche della vicenda appena ricordata di luglio 1987. In primo grado la perizia del professor Luciano Romito, oggetto di scontro tra le parti, aveva escluso la compatibilità.
Nell’udienza odierna i giudici hanno respinto la richiesta delle difese per un confronto fra periti di primo e secondo grado. Il presidente della corte, Domenico Stigliano, non ha usato mezzi termini: «Ognuno ha stilato le proprie relazioni che sono agli atti, sarebbe anomalo aspettarsi che qualcuno cambiasse idea da un confronto in aula».
I tre uomini attesi al banco dei testimoni a settembre sono:
- Antonio Di Munno, 66anni, della squadra di polizia giudiziaria della pretura di Comacchio trasferito al nucleo operativo di Ravenna per partecipare alle indagini;
- Mario Renis, 66 anni, all’epoca vicecomandante della stazione di Alfonsine;
- Antonio Rocco, 86 anni, carabiniere in congedo che nel 1987 era comandante della compagnia di Ravenna.
I primi due sono già stati ascoltati in primo grado, il terzo invece per quattro volte mandò certificati medici che attestavano l’impossibilità ad affrontare il lungo viaggio dalla residenza di Baronissi (Salerno). Le parti civili, però, ricordarono alla corte d’assise che una relazione della polizia giudiziaria aveva accertato che a fine 2021 l’uomo era stato a Bologna a trovare la figlia.
La testimonianza resa da Di Munno, il 12 luglio 2021, fu particolarmente significativa: l’uomo disse apertamente di essere stato ostacolato nel suo tentativo di arrivare alla verità. Quando propose di approfondire i sospetti su due carabinieri, rimase gelato dalla risposta ricevuta dal comandante provinciale: «Mi disse “Brigadiere, non ha capito che più si gira la me*da e più puzza?”. Di fronte a quella frase rassegnai immediatamente le mie dimissioni e anche se non avevo prospettive di futuro lasciai l’Arma perché non erano quelli i valori in cui credevo».
Renis invece addirittura riconobbe la voce di Tasca in una telefonata del tentativo di estorsione successivo all’omicidio Minguzzi: «Mi fecero ascoltare la registrazione di una delle telefonate fatte dagli estorsori a Contarini – disse Renis in aula a Ravenna il 28 settembre 2021 – e appena sentita non ebbi dubbi che era la voce di Tasca. Quell’accento siciliano e quella parlata non erano confondibili. Lo dissi subito al capitano Antonio Rocco, comandante della compagnia carabinieri di Ravenna. Mi disse che avrei dovuto parlarne al colonnello Masciullo, il comandante provinciale. Quando andai per incontrarlo trovai Rocco a dirmi che lo aveva già informato e non c’era bisogno andassi io». Si decise di fare una verifica “fatta in casa”: «Dal comando di Ravenna chiamai la caserma di Alfonsine e mi feci passare Tasca con una scusa mentre registravamo la conversazione. Quando la riascoltai non riconobbi la sua voce e nemmeno la mia».
Tenendo conto di quanto emerso dagli interrogatori sostenuti dai tre militari in primo grado, è ipotizzabile che la corte d’appello, oltre alla volontà di arrivare alla verità sull’omicidio di Minguzzi, non voglia trascurare approfondimenti sul perché ci sia voluto così tanto tempo prima di arrivare in un’aula di tribunale: il cold case di Alfonsine è arrivato in assise a Ravenna per la prima volta solo nel 2021 senza che prima ci fossero mai stati indagati per la vicenda, nonostante la vicinanza temporale con un episodio con molti punti in comune.