La dirigente: «Abbiamo imparato tutti molto. Valuteremo gli studenti diversamente»

La ravennate Elettra Stamboulis guida il liceo artistico e musicale di Forlì e ci racconta la sua esperienza durante l’emergenza sanitaria

Elettra Stamboulis

Elettra Stamboulis

Docente di lettere fino allo scorso giugno, la ravennate Elettra Stamboulis è stata tra i vincitori dell’ultimo concorso per dirigenti scolastici e da settembre guida il Liceo artistico e musicale di Forlì “Antonio Canova”.

La contattiamo mentre è a casa, in “lavoro agile”, per sapere come sta gestendo l’emergenza Covid19 che ha imposto la didattica a distanza.

Innanzitutto, ci faccia capire bene: le scuole sono aperte o chiuse?
«Nella prima settimana, a febbraio, la scuola è stata effettivamente chiusa e questo è sempre un problema enorme per molti aspetti, a cominciare per esempio dai dati per gli stipendi. Ora invece le scuole sono aperte, ma le lezioni in presenza sono sospese. Noi per esempio ne abbiamo approfittato per imbiancare, prima di sanificare tutte le aule…».

Ci sono scuole che non hanno permesso agli studenti di ritirare il materiale didattico dalle aule, e i dirigenti hanno chiamato in causa il Decreto…
«Non c’era nulla di specifico in questo senso e nelle note esplicative sono arrivate raccomandazioni. Personalmente ho permesso di recuperare il materiale dalle aule prima che fossero sanificate. Dopo, naturalmente, non ho più fatto en- trare nessuno».

In generale dal ministero vi sono arrivate indicazioni chiare sulla didattica?
«Particolarmente chiara è stata la nota del 17 marzo del Capo Dipartimento Marco Bruschi sulla didattica a distanza che ha chiarito alcuni punti, tra cui il fatto che non si trattava di una scelta opzionale, che bisognava riprogrammare l’attività e prevedere modalità di valutazione».

Quanto eravate pronti? E come avete reagito?
«Nessuno di noi era pronto, nessuno aveva mai ipotizzato una sospensione così prolungata, ma appena abbiamo po- tuto, siamo subito partiti con la riprogrammazione. Ho chiesto che venisse ripensata la programmazione e rimodulata in unità di apprendimento e che fossero assegnati compiti di realtà con un approccio interdisciplinare. Ho anche dato indicazione perché fossero tenute lezioni a distanza che però fossero misurate come numero di ore e prevedessero anche attività creative, un oggetto di apprendimento e nuove rubriche di valutazione. Oggi sul nostro sito si trovano le programmazioni di inizio anno e la programmazione speciale Emergenza Coronavirus a disposizione di studenti e famiglie. Sono venuti fuori progetti molto belli, peraltro in linea con ciò che chiede il nuovo esame di Stato».

Come l’hanno presa gli insegnanti?
«Gli insegnanti, che ora svolgono i Consigli di classe on li-ne, hanno per la maggior parte accolto l’idea calorosamente. Diciamo che l’ottanta percento si è rimboccato le maniche e si è messo a studiare. Poi c’è stato qualcuno che è ancora restio e ha continuato a progettare solo per la sua disciplina, e io non sono intervenuta perché rispetto la libertà del docente. Infine, c’è anche qualcuno che si è dato un po’ alla macchia, ma quelli ci sono sempre stati, anche nella didatti- ca tradizionale».

E i ragazzi?
«I ragazzi partecipano molto, sono in difficoltà quelli che erano già in difficoltà prima purtroppo, noi abbiamo alcuni studenti, dodici per la precisione, che sono a forte rischio di ritiro sociale ed è difficile raggiungerli anche con la didattica a distanza. Stiamo provando a fare interventi individuali, con i docenti che li contattano singolarmente, ma non è semplice».

Il cosiddetto “digital divide” è un problema? Ci sono molti ragazzi che non hanno gli strumenti adatti?
«Noi abbiamo fornito gli strumenti a chi non li aveva, sia ai docenti che agli studenti, usando anche i portatili che erano prima a disposizione in ogni aula. Grazie ai coordinatori di classe siamo riusciti a intercettare le necessità e adesso se qualcuno ha bisogno può scrivere a scuola e noi gli diamo un appuntamento per consegnare il computer. Ho scritto al Ministero per ricevere fondi utili ad acquisirne altri. Il vero problema per noi, che abbiamo un bacino molto ampio, è dove manca l’infrastruttura della rete, lì non possiamo intervenire».

Con quale orizzonte state ragionando? Avete sentore di quando potrebbero riaprire le scuole?
«No, non abbiamo nessun sentore e non abbiamo informazioni diverse da quelle che arrivano a chi non è nella scuola. Noi stiamo lavorando come se la sospensione dovesse protrarsi a lungo, abbiamo prospettive di consegna anche dei lavori dei ragazzi di due o tre settimane per volta».

Ma se la sospensione dovesse andare avanti ancora settimane, se non mesi, si riuscirà a concludere i programmi?
«La questione è secondo me un’altra, ed è capire se si riuscirà a raggiungere gli obiettivi educativi. La scuola c’è ed è una scuola di valore, che permette di crescere insieme. Il problema non è quanti autori di filosofia si è riusciti ad affrontare, ma se si è riusciti per esempio a far acquisire ai ragazzi un metodo più autonomo».

Sta dicendo quindi che questa può essere un’occasione di cambiamento positivo?
«Può esserlo. Cerco di vedere le prospettive che ci si aprono. I docenti hanno imparato molto in questa crisi e io anche. Soprattutto abbiamo tutti imparato quanto sia necessario lavorare insieme nella scuola, e che l’apprendimento non si esaurisce nel venire in aula. In generale, stiamo tutti riscoprendo il valore della scuola come servizio essenziale, che avevamo un po’ dimenticato».

E cosa resterà nelle classi, quando riapriranno?
«Credo che questa situazione abbia portato i docenti a riflettere molto sul tema della valutazione, una questione molto rilevante, che va al di là del carattere prettamente numerico. Le griglie di valutazione sono state spesso considerate un adempimento burocratico, ma in una situazione così complessa servono nuovi strumenti per evitare disparità e si devono osservare vari aspetti dell’apprendimento, a cominciare da come uno studente impara. In questa situazione per esempio emergono in modo straordinario le competenze di cittadinanza».

Quindi secondo lei sarà davvero possibile valutare i ragazzi in questo periodo?
«Io credo di sì. Se cambio il setting di apprendimento posso osservare cose diverse, così come accade quando cambio tipo di prova. Credo quindi che diventerà meno rilevante l’aspetto nozionistico, perché non possiamo verificare che lo studente, a casa sua, non stia per esempio leggendo dal libro durante l’interrogazione, ma prevarrà l’aspetto creativo e di rielaborazione. Ci troveremo a valutare e osservare altre competenze».

Ma chi dice che per paura di eventuali ricorsi ci sarà un sei politico generalizzato quindi sbaglia?
«C’è lo stesso rischio di altre occasioni, noi stiamo tenendo registrato sia la presenza alle lezioni, sia l’assegnazione dei lavori di svolgere, i ragazzi sono tutti in Classroom. Dobbiamo renderci conto che oggi da remoto è possibile fare moltissimo: ci sono persone che si laureano a distanza, io ho fatto un master a distanza, dipende come lo si fa. In questa situazione ci sono stati studenti che hanno messo in campo e consolidato competenze, mostrato proattività e non sarebbe giusto non valutarli per questo. Il problema è che la bocciatura è sempre l’estremo rimedio della scuola, e questo dovrebbe essere vero sempre e non solo adesso. Il primo problema di ogni bocciatura è il nostro fallimento».

Detto tutto questo, quanto manca la scuola come ambiente fisico di incontro?
«Moltissimo, ai ragazzi soprattutto, ma anche agli insegnanti. Del resto si impara tra pari, siamo animali sociali, e questa è l’altra faccia della medaglia con cui dovremo fare i conti. Speriamo che si possa rientrare presto e si possa stare di nuovo insieme».

MAR MOSTRA SALGADO BILLB 15 – 21 04 24
TOP RENT BILLBOARD FOTOVOLTAICO 04 – 18 04 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24