Il sindaco uscente Pd al termine del secondo mandato. È l’unico comune in provincia di Ravenna coinvolto dalla tornata di elezioni amministrative del 12 giugno
Una veduta di Riolo Terme
Unico comune della provincia di Ravenna coinvolto dalla tornata elettorale per le elezioni locali, Riolo Terme, con i suoi 5.694 residenti, il 12 giugno andrà al voto per rinnovare l’Amministrazione comunale guidata negli ultimi anni da una lista di centrosinistra e dal sindaco Alfonso Nicolardi, al termine del secondo mandato consecutivo e che cinque anni fa sfiorò il 60 percento dei consensi.
Quattro i simboli che si contendono i dodici posti in consiglio comunale e la poltrona di primo cittadino.
La lista 1 è “Riolo nel cuore” e candida Giovanni Gallinucci, 38 anni, autista di pullman in un’azienda di trasporti locali, ed è sostenuto dal centrodestra con Fratelli d’Itlaia, Lega e Forza Italia.
La lista 2 è “Riolo Libera” e candida Alan Giani, 41 anni, patron di Romagna Showtime, una can- didatura fuori dagli schieramenti e sostenuta anche dal movimento 3V, come noto critico in particolare verso le politiche sanitarie e l’obbligo di vaccinazione, green pass e mascherine a scuola.
Federica Malavolti
Alan Giani
Giovanni Gallinucci
Mirko De Carli
C’è poi “Riolo Terme per la comunità”, lista del centrosinistra, con Federica Malavolti, classe 1974, laurea in Storia Moderna, lavora in una cooperativa ed è esponente del Pd, È stata vicesindaca di Nicolardi durante il primo mandato del sindaco.
Quarta lista il lizza è quella per “Riolo Terme del Popolo della famiglia” (compare anche il simbolo nel logo) che candida Mirko De Carli, 38 anni, intermediario assicurativo per aziende, consigliere comunale uscente, che cinque anni fa superò il 14 percento dei voti, tra i collaboratori a livello nazionale del partito di Adinolfi.
Urne aperte dalle 7 alle 23. Il servizio di trasporto di persone con difficoltà motorie sarà attivo dalle 8.30 alle 12. La prenotazione telefonica è attiva venerdì 10 e sabato 11, dalle 8.30 alle 18 ai numeri 0546 77417 – 77418.
Per restare in A2 dopo l’addio del presidente Vianello è nata una nuova fondazione con l’obiettivo di ripartire con una proprietà diffusa con il coinvolgimento di cittadini e imprese. Resta il nodo palazzetto
Il pubblico giallorosso dell’OraSì
«È il momento in cui la pallacanestro va ai ravennati e ora dovranno essere loro a difendere lo sport che dà le vibrazioni più intense in città. Dobbiamo dare una mano tutti».
Lo ha dichiarato pochi giorni fa di fronte alla stampa il direttore del Basket Ravenna, Giorgio Bottaro, al termine di una stagione storica, quella partita con l’obiettivo della salvezza e conclusa con la semifinale play-off di serie A2 persa contro Cantù, il miglior risultato sportivo nella storia del club insieme a quello dell’annata 2016/17 (semifinale contro la Virtus Bologna). E ufficializzando così l’uscita di scena (almeno ufficialmente) dello storico presidente Roberto Vianello, che cederà il titolo sportivo a una nuova società sostenuta da una neonata fondazione, costituita dalle aziende Unigrà (proprietaria del marchio OraSì con cui è nota la squadra) e Sapir, con il sostegno del Club Ravenna nel Cuore e il beneplacito dell’Amministrazione comunale.
L’obiettivo è quindi ripartire da zero con una proprietà diffusa, che vada dal singolo cittadino all’imprenditore. Il problema, ovviamente, sono i soldi. Con Bottaro che ha annunciato di aver già predisposto un piano tecnico per allestire una squadra con un budget ancora più ridotto rispetto ai 256mila euro dell’anno scorso (ottenuti a fronte di «tagli dolorosi e persone che hanno lavorato sottopagate»).
I tempi sono stretti. Servono tra i 200 e i 250mila euro per ripartire, entro il 17 giugno, prima della presentazione della fidejussione alla Fip.
«Sapevamo che per motivi personali e di età questo sarebbe stato l’ultimo anno di Vianello come presidente e proprietario del club – ha spiegato Bottaro –. Non basterebbe una giornata o un libro per ringraziarlo per ciò che ha fatto per la pallacanestro cittadina con la sua passione e i suoi investimenti, un uomo che è arrivato da Venezia e che dopo Piersante Manetti ha regalato a Ravenna tanti anni di questo sport ad alto livello. Roberto sarà un trait d’union con il futuro, con tutti gli sponsor e amici che lo hanno seguito in questi anni e continuerà ad avere un ruolo in questo mondo, ritagliato su di lui a seconda delle sue disponibilità ed esigenze».
Capitolo palazzetto. In attesa di veder realizzato il nuovo, dalla gestazione più che tribolata, Bottaro sgombera il campo da dubbi. «A queste condizioni non possiamo più giocare al Pala De André.Ha tariffe troppo alte per noi. Costa 3-4 volte in più del Pala Cattani di Faenza (dove l’OraSì ha disputato la semifinale playoff, ndr). Non ci vogliamo neanche pensare di dover abbandonare Ravenna, ovviamente, ma servirebbe un aiuto: non chiedo tanto, solo di poter pagare tariffe in media con quelle che si pagano nei palazzetti presenti in un raggio di 35 km dalla nostra città, tutto qui». E il sindaco De Pascale, in queste ore, pare aver già fornito rassicurazioni…
Torna il progetto “Una spiaggia che legge è una bella storia”
Dopo due anni torna il progetto “Una spiaggia che legge è una bella storia” e si potranno trovare i libri della Classense negli stabilimenti balneari ravennati.
La Classense fornisce ad ogni stabilimento balneare che aderisce all’iniziativa, una scelta di 50 romanzi, per un totale di oltre 700 volumi dalle proprie collezioni.
La selezione è effettuata dalle bibliotecarie e dai bibliotecari, sulla base della propria professionalità e nel rispetto dei diversi orientamenti di gusto dei lettori.
Il prestito dei libri va da metà giugno a metà settembre e la biblioteca Classense si occuperà della consegna e del ritiro dei volumi agli stabilimenti balneari interessati.
Gli stabilimenti balneari coinvolti: Ettore, Nautilus Beach, Perla, Nariz, Paradiso, Hana-Bi, Singita Miracle Beach, Tamerici Chiarago Beach, Toto Beach Bar, Zanzibar, Sottomarino, Azzurro, Corallo Beach, Long Beach.
La soddisfazione del sindaco, che rilancia anche su estrazioni, eolico e cattura di anidride carbonica
«Ringrazio il presidente Draghi per la fiducia. L’incarico che mi viene affidato a nome del Governo riguarda un passaggio cruciale per il Paese, chiamato ad attuare misure concrete e strutturali per la progressiva autosufficienza energetica e accelerare la transizione ecologica, e a dare risposte rapide al caro bollette, che così duramente sta pesando su famiglie e imprese».
Così il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, dopo la firma da parte del presidente del Consiglio, Mario Draghi, del decreto che lo nomina commissario straordinario per il rigassificatore in Emilia-Romagna.
«È importante – prosegue – che a poche settimane dall’incontro che abbiamo avuto a Bologna, nella sede della Regione, con il ministro Cingolani, sia stata accolta la disponibilità dell’Emilia-Romagna a diventare hub nazionale per il gas, grazie al porto di Ravenna, dotato di infrastrutture a mare, al largo dalla Costa, in grado di accogliere navi che trasportano gas liquefatto, procedere allo stoccaggio e alla sua rigassificazione, oltre che del collegamento a terra per la successiva immissione nella rete di distribuzione italiana. Una infrastruttura al servizio del territorio regionale e dell’intero Paese».
«Siamo pronti – prosegue Bonaccini – a far nascere a Ravenna anche un hub nazionale delle rinnovabili, attraverso il progetto Agnes, parco eolico e del fotovoltaico galleggiante in Adriatico, sempre a distanza dalla Costa, unico per dimensioni nel panorama nazionale e internazionale. Sul quale, sempre nel recente incontro in Regione, abbiamo raccolto il parere positivo del ministro Cingolani, che si è impegnato ad accelerare la verifica da parte del suo ministero».
«Questa è una notizia molto positiva – ha commentato il sindaco Michele de Pascale, facendo gli auguri a Bonaccini – che Ravenna accoglie con grande soddisfazione e confermiamo al presidente/commissario Bonaccini la nostra massima collaborazione, mettendo a disposizione l’importante know-how ed esperienza che la nostra comunità può offrire sui temi dell’energia. Ravenna, come più volte espresso è pronta a fare la propria parte nell’interesse del paese, per un iter autorizzativo rigoroso ma celere, che identifichi soluzioni tecniche e compensazioni ambientali nel minor tempo possibile e poi proceda alle realizzazioni, in cui il nostro territorio è leader indiscusso a livello internazionale. Ravenna non è semplicemente un luogo dove collocare un rigassificatore per fare comprensibilmente fronte a un’emergenza, ma è il luogo chiave in cui pianificare e concretizzare una nuova strategia energetica nazionale che potrebbe offrire una risposta all’attuale crisi energetica, garantendo alla pianura padana una parte significativa della sua sicurezza energetica e diminuendo nel contempo sia i costi che l’impatto ambientale».
Il sindaco coglie così l’occasione «per ricordare al Governo la nostra proposta di strategia energetica complessiva che prevede l’attuazione di quattro punti: il rilancio della produzione nazionale in Adriatico, la collocazione di un’unità galleggiante per la rigassificazione da 5 mld, la concretizzazione in tempi brevi del Parco eolico/solare da 700 MW Agnes, la realizzazione di un sistema di Ccus».
Lega, Fi, Italia Viva, Azione e Psi a favore dei quesiti, M5S è contro, il Pd per la “libertà di coscienza”
In un clima di diffuso disiniteresse dei media, impegnati su altri fronti, e anche di molti partiti politici, il 12 giugno tutti i cittadini maggiorenni con pieni diritti politici sono chiamati alle urne per rispondere a cinque quesiti referendari che riguardano altrettanti aspetti del grande e complesso tema della giustizia (vedi a fondo pagina la guida ai quesiti).
Come sempre, perché il risultato sia valido sarà necessario che venga superato il quorum degli elettori del 50 percento +1. A dare una mano all’obiettivo tante volte mancato in precedenti tornate questa volta potrebbe esserci la concomitanza con le amministrative che in provincia di Ravenna però riguardano solo la piccola Riolo Terme. Al momento anche sul territorio scarseggiano le iniziative elettorali di entrambi i fronti da parte dei partiti, abbiamo quindi chiesto a due esponenti di Palazzo Merlato di spiegarci le ragioni delle posizioni dei rispettivi partiti che sono agli antipodi.
Alberto Ancarani
Alberto Ancarani, avvocato, capogruppo di Forza Italia, uno dei partiti che ha promosso la raccolta firme lo scorso anno – a Ravenna i banchetti erano anche a tutti gli eventi della sua scorsa campagna elettorale per le amministrative – si schiera in modo netto per cinque sì. «Non credo che nessuno possa essere sorpreso, molti dei temi proposti sono inseriti nei programmi di Forza Italia da anni e sono temi direi classici che per un motivo o per un altro non siamo mai riusciti a realizzare».
Dal punto di vista di Ancarani, la concomitante riforma Cartabia, in corso di approvazione, e che alcuni sostenitori del No usano come argomento contro i quesiti, non deve rappresentare un freno. «È ovvio che politicamente, se vincesse il sì, la riforma Cartabia non potrebbe non tenerne conto e questo sarebbe un bene, perché considero questa riforma un primo passo, ma non sufficiente, frutto di un compromesso molto ampio».
Un esempio lampante è il quesito che chiede la netta separazione delle carriere tra Pm e giudici, da sempre un cavallo di battaglia di Berlusconi & Co. e che nella riforma Cartabia è contemplato: è previsto un solo passaggio possibile. Anche sull’abolizione della custodia cautelare per reati reiterati Ancarani non ha dubbi: «Se si viene arrestati perché si reitera un reato per cui ancora non è concluso il primo processo, il problema è nel sistema. Votare sì è un modo per dire che il re è nudo. La preponderante presenza nelle carceri di persone in attesa di giudizio invece che condannate non è accettabile in uno stato di diritto».
Così come Ancarani sostiene che la legge Severino, tra quelle che verrebbero abrogate, pur votata da tutti i partiti durante il governo Monti, è sintomo, a suo dire, di una visione «giustizialista». Eventi per la campagna elettorale al momento non ne sono previsti, «confesso che il periodo non è particolarmente propizio, qualcosa faremo tuttavia».
Per cinque sì convinti ci sono anche la Lega, tra i promotori, e due forze come Italia Viva e Azione, che a Bologna hanno dato vita anche a un comitato unitario con Forza Italia. «Qui non è stato possibile, ma le posizioni sono comunque condivise sui referendum e personalmente sarei davvero felice se finalmente Italia Viva e Azione entrassero nella compagine del centrodestra», commenta provocatoriamente il capogruppo.
Nel centrodestra, intanto, a distinguersi c’è invece, ovviamente, Fratelli d’Italia che sostiene tre sì e due no (ai primi due quesiti).
Giancarlo Schiano
Per il no su tutti e cinque i quesiti è il Movimento 5 Stelle come ci spiega il consigliere comunale Giancarlo Schiano che premette: «Si tratta di quesiti molto tecnici, io stesso ho chiesto un confronto con Roma per approfondire meglio. Cercheremo di tornare con i banchetti tra la gente, ma non credo che questi temi incontreranno grande interesse». L’invito è comunque quello di andare a votare il 12 giugno e, possibilmente, votare 5 no. «Il punto è che si tratta di questioni molto tecniche e in un tema così complesso non si può procedere per abrogazioni, perchè togliere anche un singolo mattone, per quanto imperfetto, può far rischiare di crollare il muro. Tanto più che è in corso l’approvazione della riforma Cartabia che interviene su molti aspetti, come la separazione delle carriere o la riforma del Csm». Più nello specifico Schiano spiega come la salvaguardia della legge Severino, per esempio, potrà evitare di far tornare in parlamento inquisiti e come l’abolizione della custodia cautelare così come è prevista oggi potrebbe di fatto rappresentare un rischio per vittime di reati considerati “minori” come ad esempio lo stalking.
Più sfumata è la posizione del Pd che ufficialmente «lascia libertà di coscienza» trattandosi di temi complessi e non percepiti come identitari, e tuttavia sembra propendere per il no, per ragioni diverse rispetto ai vari temi. A par- larcene è l’avvocato Guido Fabbri, responsabile giustizia Pd a livello provinciale.
«Personalmente, come altri dentro il Pd, credo che per quanto riguarda tre referendum e cioè quelli che riguardano la cosiddetta “separazione della carriere”, e l’elezione del Csm ed il voto nei consigli giudiziari si rischi di fatto di ostacolare la riforma Cartabia in corso di approvazione. Sono temi tecnici e complessi che vanno visti nella loro totalità e riformati dal parlamento. Per quanto riguarda invece il referendum per abolire la legge Severino (il n. 1, ndr) e quello sull’abolizione della custodia cautelare (il n. 2 ndr), credo personalmente che sia opportuno non vengano approvati per la conseguenza che avrebbe l’abrogazione delle norme. In un caso, potremmo avere, per esempio, condannati, anche in via definitiva, per gravi reati eleggibili in parlamento, nell’altro persone per esempio che hanno truffato anziani e su cui gravano indizi pesantissimi ai quali non potrebbe essere imposto nemmeno un obbligo di firma in attesa del terzo grado di giudizio e quindi in grado di reiterare il reato».
Ma si tratta, appunto, di un’opinione personale, visto che il Pd lascia libertà di voto. Né sembra impegnato in alcuna campagna elettorale. «Personalmente sono andato in diversi circoli che hanno organizzato incontri su questo tema, ma certo non credo si possa dare la colpa al Pd se i mezzi di comunicazione in generale non ne stanno parlando diffusamente».
Ecco i cinque quesiti sulla giustizia e un vademecum per votare
Domenica 12 giugno si vota per i 5 referendum sulla giustizia dalle 7 alle 23 nella diciottesima tornata referendaria abrogativa nella storia della Repubblica.
Nello specifico i cinque quesiti al voto riguardano: Incandidabilità dopo la condanna (scheda rossa): il referendum chiede di abrogare la parte della legge Severino che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali nel caso di condanna per reati gravi. Separazione delle carriere (scheda gialla): si chiede lo stop delle cosiddette “porte girevoli”, impedendo al magistrato durante la sua carriera la possibilità di passare dal ruolo di giudice (che appunto giudica in un procedimento) a quello di pubblico ministero (coordina le indagini e sostiene la parte accusatoria) e viceversa. Riforma Consiglio Superiore della Magistratura (scheda verde): si chiede che non ci sia più l’obbligo di un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura. Custodia cautelare durante le indagini (scheda arancione): si chiede di togliere la “reiterazione del reato” dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini e quindi prima del processo. Valutazione degli avvocati sui magistrati (scheda grigia): il referendum chiede che gli avvocati, parte di Consigli giudiziari, possano votare in merito alla valutazione dell’operato dei magistrati e della loro pro- fessionalità.
Come noto, per la validità del referendum abrogativo è obbligatorio che vada a votare la metà più uno degli elettori aventi diritto, in caso contrario le norme per le quali il quorum non viene raggiunto resteranno in vigore.
Possono votare tutti i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali del Comune e che avranno compiuto il diciottesino anno di età il 12 giugno. L’elettore deve presentarsi al seggio con un documento di identità valido e la tessera elettorale. Chi non ha la tessera o l’ha smarrita può richiederla all’ufficio elettorale del comune di residenza, per questo nei Comuni è stata disposta l’apertura straordinaria dello sportello elettorale (rilascio tessere elettorali). A Ravenna, in particolare, nel salone dell’anagrafe secondo i seguenti orari: venerdì 10 e sabato 11 giugno: 8 – 18 (orario continuato); domenica 12 giugno: 7 – 23 (orario continuato per tutta la durata delle votazioni).
Nella giornata di domenica 12 giugno dalle 7 alle 23 è previsto anche il servizio straordinario per il rilascio della Carta di Identità. Anche gli Uffici decentrati presteranno attività di supporto all’ufficio elettorale per il rilascio dei duplicati delle tessere elettorali. Disabili e persone anziane con difficoltà di deambulazione, che non hanno ri- cevuto la tessera elettorale, possono telefonare all’Ufficio elettorale per chiederne la consegna al proprio domicilio.
Uno sguardo critico sulla base dei dati dell’energia in Italia: «Per il fotovoltaico servirebbero due-tremila km quadrati». La sfida: «La politica riuscirà a governare queste realizzazioni semplificando la burocrazia?»
Riceviamo e pubblichiamo un intervento sul tema delle energie rinnovabili – con riferimenti anche allo sviluppo della comunità energetiche di cui abbiamo parlato nel “primo piano” del giornale del 2 giugno – a cura di un cittadino che si può definire in un certo senso un addetto ai lavori, ma che preferisce restare anonimo. Un intervento che si basa su dati a disposizione di chiunque, sul web, che riteniamo possa alimentare il dibattito sul tema.
Non credo sia necessario sottolineare l’importanza dell’approvvigionamento dell’energia; ci pensano gli ultimi avvenimenti a ricordarcelo. Ed è altrettanto inutile unirci al coro/cantilena di quelli che “bisogna fare di più con le fonti alternative” e “l’importanza del cambiamento climatico”. Sarebbe invece ora di affrontare tali problemi con spirito critico fornendo dati e ragionamenti scientifici e lasciando a certi politici o profeti apocalittici la solite fanfare sterili e inconcludenti.
Non occorre essere scienziati o tecnici del settore: con un po’ di buona volontà e spirito critico, che non esclude una necessaria minima conoscenza scientifica, è possibile prendere atto della problematica energetica e avere sotto mano tutti i dati per cercare quantomeno di comprenderla.
Limitandoci all’Italia, il consumo interno lordo nazionale per fonte energetica nel 2019 (ultimo dato disponibile) è risultato superiore ai 155 milioni di Tep (sono le tonnellate di petrolio equivalente, ossia l’unità di misura che raggruppa tutte le fonti utilizzate e rappresenta l’energia consumata), utilizzati quindi per carburanti, trasporti, riscaldamento, elettricità, industria, agricoltura, eccetera. Di questa energia circa il 19 percento serve per produrre energia elettrica (impianti termoelettrici perlopiù a gas, idroelettrico, eolico, fotovoltaico, geotermia).
Nel 2021 – dati Terna – solo il 36 percento dei consumi di energia elettrica è stato prodotto da fonti rinnovabili.
Come possiamo aumentare questa aliquota di rinnvabili eliminando i combustibili fossili (perlopiù il gas di Putin)?
Dall’idroelettrico (che rappresenta circa il 40 percento delle rinnovabili, secondo il rapporto Legambiente del 2021) non è possibile ottenere di più, anzi, scarseggiando piogge e neve i bacini idrici stanno soffrendo.
Difficilmente verrà qualcosa dalla geotermica (5 percento delle rinnovabili; l’impianto di Larderello è una produzione storica e omogenea non incrementabile).
L’eolico (18 percento delle rinnovabili ) ha bisogno di un utilizzo del suolo di molte volte maggiore del fotovoltaico a parità di energia prodotta e comporta un investimento maggiore per unità di energia prodotta.
Con la bioenergia e le biomasse (16 percento delle rinnovabili) si estrae energia praticamente bruciando i rifiuti biologici delle nostre case, dall’agricoltura; rinnovabili, certo, ma con conseguente produzione di Co2, quindi non incrementabile.
Il fotovoltaico (22 percento delle rinnovabili, quindi ampiamente sotto il 10 percento sulla totalità dell’energia elettrica consumata) è l’unica fonte incrementabile ma finché rimane una piccola frazione del tutto può non influire la sua discontinuità (di notte va pochino…); se diventasse invece il principale fornitore nella produzione di energia elettrica, questa dovremmo immagazzinarla durante il giorno in accumulatori che permettano di utilizzarla di notte (e in parte in inverno) con costi di investimento veramente elevati.
È ovvio che la quantità dell’energia elettrica prodotta è proporzionale alla superficie esposta (pannelli solari) ma se volessimo sostituire quel 64 percento prodotto con combustibili fossili con il fotovoltaico, quanti pannelli occorrerebbero? Il calcolo è presto fatto. Se si consulta internet si trovano decine di offerte da cui si evince che un impianto da 3 Kw di potenza (da non confondere coi Kwh), costituito da circa 20 metri quadrati di pannelli, produce circa 3.500 Kwh all’anno. Pertanto, se la produzione di energia in Italia si è assestata nel 2021 attorno ai 320 miliardi di Kwh, per coprire il 64 percento di produzione non rinnovabile (dividento per 3.500 Kwh e poi moltiplicando per 20 metri quadrati) servirebbe oltre 1 miliardo di metri quadrati, misura che va incrementata perchè in un parco fotovoltaico tra una fila di pannelli e l’altra occorre uno spazio per la manutenzione (circa il 20 percento)m inoltre il pannello inclinato di 45 gradi occupa il 41 percento in più in orizzontale per cui si supererebbero i 2 miliardi, ossia 2mila km quadrati.
E adesso la domandaccia? Ce li abbiamo in Italia almeno 2.500/3.000 chilometri quadrati (quasi l’1 percento del totale del territorio italiano) per impianti fotovoltaici? Che bel problemone per i sindaci d’Italia, da cercare di “sbolognare” a casa degli altri!
Che cosa prevede il Pnrr per l’energia rinnovabile? Citiamo: “Per raggiungere tale scopo bisogna accelerare lo sviluppo di: comunità energetiche e sistemi distribuiti di piccola taglia, impianti utility-scale (attraverso una semplificazione della burocrazia), sviluppo del biometano e soluzioni innovative e offshore”. Il Piano prevede degli investimenti per lo sviluppo dell’agrovoltaico: nello specifico, l’obiettivo è di installare impianti agro-voltaici di 1,04 Gw, che produrrebbero circa 1.300 Gwh annui, ottenendo una riduzione delle emissioni di gas serra stimabile in circa 0,8 milioni di tonnellate di Co2.
Nota bene: si prevede di realizzare tali obiettivi “attraverso la semplificazione della burocrazia”. Che fa un po’ ridere, se si pensa che ci sono voluti anni per realizzare il parco fotovoltaico di Troia, a Foggia, il più grande d’Italia e ce ne vorrebbero più di un migliaio per la sostituzione integrale delle fonti non rinnovabili. Il Piano ne prevede da 1.04 Gw (10 volte quello di Foggia) e quindi ne basterebbero un centinaio: riuscirà la politica a governare tali realizzazioni?
Intervista al regista ravennate Yuri Ancarani, il 10 giugno all’arena della Rocca Brancaleone con il suo ultimo lavoro girato in laguna
Un film che corre veloce nel cuore della laguna di Venezia inseguendo le vite di un gruppo di giovani locali fra feste, sballi, gare folli coi barchini truccati, riti di iniziazione, amori e abbandoni, prove di virilità e regole di inclusione/esclusione dal gruppo. Ci sono questo e molti altri piani di indagine in questo bel lavoro di Yuri Ancarani – atteso alla Rocca Brancaleone di Ravenna in occasione della proiezione di venerdì 10 giugno, dalle 21.30 – che rende sullo schermo una Venezia finalmente reale, ben distante dalla versione hollywoodiana o da supermercato a cielo aperto che soddisfa ogni anno le aspettative di migliaia di visitatori.
Il film segue in particolare la vita dei due protagonisti – Maila e Daniele – e senza script, senza attori professionisti tranne un’unica eccezione, con rari interventi di fiction ma sempre basati su avvenimenti reali, senza set o luci e grazie a una telecamera ad altissima risoluzione raggiunge l’obiettivo di raccontare da vicino e in un las- so di quattro anni le vite degli adolescenti della laguna, quelli che sfrecciano e a volte muoiono al largo del centro. Presi da sogni di soldi e successo, donne e primati, sordi ai valori e alla lentezza superata dei vecchi, richiedono solo “rispetto” mettendo a nudo una disperazione esistenziale simile a quella di tanti coetanei in altri luoghi; comunicano un senso di vuoto così transgenerazionale da creare un’opera che riesce a essere universale.
Contattiamo Ancarani – film e videomaker ravennate già noto a livello internazionale – per fargli qualche do- manda su questo ultimo lavoro.
Yuri, perchè hai scelto Venezia?
«È stata per caso una buona intuizione, soprattutto se pensi a cosa sarebbe successo con una produzione lontana nel momento dello scoppio della pandemia: Venezia è vicino a dove vivo, a due ore da Ravenna e Milano. Poi, tutti credono di conoscere questa città – sempre rappresentata come l’ha vista Woody Allen – ma in realtà non vedono la vita reale, avvenimenti che nel loro piccolo sono giganti. Girare a Venezia è stata una sfida anche dal punto di vista del lavoro: la città ospita 10 set all’anno di cui quasi la metà hollywoodiani secondo una visione sempre uguale».
In effetti, il set è la laguna.
«I veneziani stanno in laguna. A Venezia la periferia non esiste: i veneziani vivono a Castello e a Cannaregio, perchè da lì è comodo uscire subito in acqua. Come in altre città, dove il centro si raggiunge in 10 minuti, è sba- gliato usare la parola periferia perchè in realtà è una parola che sposta semplicemente i problemi. Comunque la conferma di essere riuscito nell’idea di catturare la vita di Venezia l’ho avuta tramite i giudizi dei veneziani. Ci ho messo una vita a visitare i posti dove vanno i veneziani, le isole abbandonate o in parte utilizzate come luoghi di incontro e di festa. Sant’Andrea – il punto di accesso delle imbarcazioni –, isole come Pellestrina o bellissime come San Francesco del deserto: pensa che da quando esiste il cinema, San Francesco non è mai stata utilizzata come set».
E poi c’è la vita dei protagonisti Daniele e Maila, dei loro valori e domande.
«Quando ho visto quei ragazzi ho pensato allo sbandamendo della giovinezza, ai rituali e alla vita dei gruppi che penso siano universali. Per creare la struttura del film mi sono basato sulle storie che loro mi raccontavano ma anche sulla mia memoria di adolescente a Ravenna. Posso dire che questo è anche un film autobiografico perchè ho vissuto a Ravenna la stessa situazione dei ragazzi nel film. Ho cercato un luogo che nel 2020 mi potesse ritrasmettere le vicende degli anni ’90, le gang, la competizione, i motorini truccati, quella dimensione che poi mi ha fatto fuggire dalla mia città dove gli adulti promuovevano valori, impegno politico. Ma dove la vita di strada era del tutto diversa».
Entrare in contatto con loro non sarà stato semplice ma ripercorre un’abitudine di lavoro che hai da sempre, fin dalle prime opere, con un occhio privo di giudizi.
«Entri piano, come ospite, e cerchi di capire. È il mio approccio ma solo fino a un certo punto documentaristico: cerco di mantenere un atteggiamento di rispetto verso le persone che mi dedicano tempo. Ovvio che c’è il punto di vista dell’ospite, silenzioso e privo di giudizio ma la vita dei protagonisti parla da sola: loro guardano la vita con innocenza, quasi senza comprendere quello che vivono. Da questo punto di vista credo che il mio film precedente The Challenge – girato in Qatar – e Atlantide possano essere considerati un dittico sul tema della regressione».
Hai lavorato senza copione, spesso in diretta. Come hai girato e hai scelto il montaggio?
«Maila è la struttura del film che ti porta fino alla fine. Le scelte sono state dettate dal percorso naturale della vita dei due protagonisti, dalle storie e persone attorno a loro che rendevano il contesto. Ci sono rari momenti di fiction come quello della lancia dei finanzieri che insegue i ragazzi che spacciano, girato come un poliziesco degli anni ’60 ma che si basa sul racconto che mi hanno fatto i finanzieri. Del resto ho girato spesso in notturna, velocemente, perchè i ragazzi si spostano così e di notte: a un certo punto ho capito che al posto delle luci potevo usare solo la luna piena e i faretti dei barchini, colorati come nelle disco di Riccione. Alla fine ho girato tanto, troppo: i giorni di ripresa effettivi sono stati più di 90; calcola che per un film se ne impiegano di solito 40. E ho dovuto tagliare tanto: ti dico solo che il primo montaggio durava 2 ore e mezzo».
La scena iniziale è bellissima…
«È il momento dove ancora c’è leggerezza, una scena registrata in 2-3 ore dove ho giocato con la telecamera. Io inseguivo i ragazzi che non si volevano far riprendere.
Poi seguono le situazioni pesanti, i distacchi, i litigi e la morte. Daniele l’ho scelto per la sua faccia sofferente: per il film ha dovuto rivivere alcuni traumi della sua vita che si conclude con la fiction della sua morte, nel primo finale. Ma la morte è un fatto reale, di cronaca costante nella vita di questi ragazzi».
E il secondo finale?
«È una sorta di happy end che molti si aspettano nel film, quella che ormai tutti vivono dal divano di casa mentre la vita scorre davanti loro. È difficile fare un film tragico con l’happy end ma credo di esserci riuscito anche grazie alla musica».
Musica da orchestra e il genere trap che ascoltano i ragazzi oggi…
«Il lavoro sulla musica è stato decisamente complicato perchè mette insieme generi molto diversi: la traccia trap di Sick Luke che ascoltano i ragazzi adesso (ma forse è già tardi), la techno anni ’90 che fa parte del mio immaginario e l’orchestrale di Lorenzo Senni e Francesco Fantini che ormai è entrata nell’immaginario collettivo come musica da film».
Il secondo finale è aperto: immaginifico e senza uno stacco di camera.
«È un’inquadratura semplice, non ci sono effetti speciali, semplicemente la camera si inclina. Non è una novità ma un tentativo – già ampiamente utilizzato – di portare lo spettatore oltre all’immagine, oltre lo schermo. Kubrick in questo è un gran maestro».
Udienza 16 / Gli avvocati della madre, del fratello e della sorella del 21enne ammazzato ad Alfonsine nel 1987 parlano per tre ore in corte d’assise per evidenziare gli elementi a carico dei tre imputati e le difficoltà incontrate dalle indagini
«Un cold case è sempre frutto di un’indagine imperfetta». Sono le parole scelte dall’avvocato Luca Canella per dire che l’inchiesta del 1987 sull’omicidio di Pier Paolo Minguzzi si porta dietro molte ombre. Il fascicolo venne archiviato nel 1996, è stato riaperto nel 2018 da altri magistrati e la sentenza arriverà il 22 giugno quando saranno passati 35 anni dal ritrovamento del cadavere del ventunenne di Alfonsine. L’intervento di Canella ha aperto la sedicesima udienza, ieri 8 giugno, in corte d’assise a Ravenna dove rappresenta la parte civile Rosanna Liverani, la madre del giovane ucciso in un rapimento per estorsione (qui le richieste di risarcimenti).
Dopo Canella hanno preso la parola anche gli avvocati degli altri familiari costituitisi parti civili, Paolo Cristofori per la sorella Anna Maria e Elisa Fabbri per il fratello Gian Carlo. In tutto tre ore di intervento, con alcuni argomenti toccati da tutti, al punto da portare il presidente della corte Michele Leoni a chiedere di evitare ripetizioni di cose già note ai giudici. I tre legali hanno ribadito la lunga lista di indizi gravi, precisi e concordanti – usciti da un anno di dibattimento – che a loro giudizio devono quindi portare alla condanna dei tre imputati: due ex carabinieri della stazione di Alfonsine e un amico idraulico dello stesso paese, nell’ordine il 58enne Orazio Tasca, il 59enne Angelo Del Dotto e il 66enne Alfredo Tarroni (la procura ha chiesto tre ergastoli).
Ma tra le righe degli interventi del pool di avvocati c’è anche la volontà di dare voce alla comprensibile frustrazione di una famiglia: gli indizi in aula oggi sono gli stessi che già si potevano individuare nei primi momenti dopo l’omicidio. Indizi che diventarono ancora più forti a luglio del 1987, tre mesi dopo la morte di Minguzzi, quando gli odierni imputati furono arrestati dopo aver tentato un’altra estorsione e aver ucciso un carabiniere impegnato nell’imboscata per l’arresto (tutti hanno scontato pene ultraventennali).
«Gli elementi comuni tra le due vicende – ha detto ancora Canella – dovevano bastare per arrestare i tre e si sarebbe evitato il secondo omicidio. Invece non si fece nulla. E non può che restare impressa una frase pronunciata da un brigadiere ascoltato tra i testimoni. Antonio Di Munno venne trasferito da Comacchio anche per seguire questa vicenda ma quando insisteva con i superiori per prendere iniziative investigative si sente rispondere che “la merda più si gira e più puzza”».
Non si può fare a meno di domandarsi perché si sia arrivati solo ora a celebrare un processo per dare un nome a chi ha ucciso Pier Paolo Minguzzi. Non si può fare a meno di nutrire il dubbio di una volontà di non fare luce: «Pensate a cosa è stato detto in aula – ha detto ancora Canella ai giudici – ma soprattutto sappiate ascoltare il silenzio di chi è venuto a testimoniare».
Su questi aspetti è stata l’avvocata Fabbri a ricordare alla corte la figura di Vincenzo Tallarico, 66enne carabiniere congedatosi con il grado di capitano assegnato al comando della compagnia di Ravenna per sostituire Antonio Rocco a fine del 198: «Non ci fu un passaggio di consegne fra i due ed è incredibile. Si era deciso di congelare l’indagine per non rischiare di far sapere che Tasca aveva potuto continuare a delinquere e per questo aveva perso la vita un altro militare». E c’è un affondo anche per le parole che il magistrato Gianluca Chiapponi, pm titolare del fascicolo all’epoca: «Al funerale del carabiniere Vetrano disse ai familiari di Minguzzi che i tre arrestati non c’entravano nulla con il loro caso».
Anche l’avvocato Cristofori si chiede perché non si volle andare avanti e fornisce la sua tesi: «Non ho mai pensato a complotti o poteri occulti. Dopo la sparatoria di luglio 1987, i responsabili delle indagini, carabinieri e magistrati, si resero conto di aver sottovalutato gli indizi che già erano emersi nei mesi precedenti e quindi, consapevoli che la loro superficialità aveva fatto sì che oltre a Pier Paolo un altro carabiniere avesse perso la vita, hanno preferito non andare oltre tanto i tre avrebbero pagato per l’arresto in flagranza nel secondo episodio».
I familiari di Pier Paolo Minguzzi: da sinistra la sorella, la madre e il fratello
Tra le parti civili figura anche il ministero della Difesa. L’avvocata Uliana Casali dell’Avvocatura dello Stato ha tenuto la parola per dieci minuti e non ha usato mezzi termini: «Chi sbaglia in divisa sbaglia due volte perché distrugge il rapporto di fiducia che le istituzioni devono avere con la collettività. Non si può rispettare un’istituzione se l’istituzione non opera degnamente. Gli imputati erano mossi “da una sete inarrestabile di denaro” come ha detto il pubblico ministero e non c’è nulla di più abietto e futile».
Anche il Nuovo sindacato carabinieri (Nsc) è parte civile: «Mai in un processo penale come questo si è assistita a una attività ostruzionistica, se non addirittura di occultamento, che fa parte dei motivi per cui ci sono voluti 35 anni per arrivare al processo», ha detto l’avvocata Maria Grazia Russo. Che ha toccato la questione della perizia fonica con il parere del consulente della corte a favore degli imputati: «È una sola prova scientifica che va in direzione opposta rispetto a una pluralità di indizi che vanno unanimemente verso la colpevolezza. E la prova scientifica non è oro colato o una certezza granitica».
Area espositiva da 5mila metri quadrati, ci lavoreranno 120 persone. Il 27 giugno una serata di anteprima dedicata ai professionisti con partita Iva
Apre al pubblico mercoledì 29 giugno il primo Bricoman (con la nuova insegna Tecnomat) della provincia di Ravenna, a Fornace Zarattini, in via Faentina 214/A, alle porte del capoluogo.
Si tratta di un’area espositiva di 5mila metri quadrati – a cui se ne aggiungono altri 4mila dedicati a materiali edili – con oltre 25mila prodotti tecnici professionali delle migliori marche a prezzi da ingrosso (Iva inclusa) per la costruzione, la ristrutturazione e la finitura della casa. Oltre a banchi dedicati con venditori specializzati a disposizione per consigliare le soluzioni migliori in base alle esigenze dei clienti.
Per lanciare l’apertura, lunedì 27 giugno è in programma una serata dedicata esclusivamente ai professionisti e alle piccole imprese con partita Iva, durante la quale sarà possibile visitare in anteprima il nuovo negozio (iscrizioni a questo link) e, per tutti i posatori di serramenti, anche ricevere informazioni per poter diventare partner dell’azienda.
Si tratta del 29esimo negozio Bricoman aperto in Italia, il quinto in Emilia-Romagna, in attesa dell’inaugurazione anche a Rimini, slittata a fine anno.
Il punto vendita di Ravenna darà lavoro a circa 120 persone con un fatturato medio annuale che si prevede possa aggirarsi attorno ai 50 milioni di euro.
Da pochi mesi, come anticipato, l’azienda ha deciso di diventare Tecnomat che sta prendendo così il posto di Bricoman, nome che secondo una ricerca evocherebbe un luogo che «ha a che fare con il fai da te e non professionale», oltre a confondersi con altre insegne.
Il tutto all’interno di un piano di sviluppo territoriale messo a punto con l’obiettivo di radicare l’azienda nel mercato professionale e portarla, entro il 2025, a essere leader nei volumi di vendita dei prodotti tecnici professionali per la manutenzione, ristrutturazione e costruzione delle abitazioni e delle attività commerciali.
Con 25mila prodotti presenti nei reparti di idraulica, elettricità, edilizia, falegnameria, sanitari, piastrelle, ferramenta, utensileria e vernici, l’azienda fa parte di Adeo, gruppo multilocale basato in Francia, al primo posto in Europa e terzo al mondo nel mercato del miglioramento dell’habitat e del fai da te, che riunisce marchi quali Leroy Merlin, Bricocenter, Weldom e Kbane.
Manutenzione anche in viale Zara a Marina di Ravenna. Investimento complessivo da mezzo milione di euro
Dopo un primo intervento di bonifica stradale dalle radici dei pini nelle località di Lido di Savio e Lido di Classe, eseguito nel 2021, ne è stato approvato uno nuovo dal Comune di Ravenna, i cui lavori inizieranno lunedì 13 giugno.
In particolare a Lido di Classe si interverrà in via Giovanni da Verrazzano nel tratto da via Pancaldo alla rotonda Oceano Indiano, nelle rotonde Oceano Indiano e Oceano Pacifico, in via D’Almeida nel tratto rotonda Oceano Indiano/via Giovanni da Empoli e in un tratto della via Marignolli. A Lido di Savio si interverrà in un tratto del viale Romagna compreso fra la via Verghereto e la via Lavezzola.
L’intervento nelle strade a Lido di Classe riguarda 38 pini pubblici e 2 privati, mentre a Lido di Savio sono interessati 43 alberi pubblici e 3 privati. L’intervento consiste nella bonifica dalle radici dei pini sia nei marciapiedi che nella sede viaria. Gli alberi, infatti, ai lati delle strade hanno provocato pericolosi sollevamenti del piano viabile così come lungo i marciapiedi con conseguenti difficoltà di transito per gli utenti più deboli.
In sintesi l’intervento consisterà nel taglio e fresatura del vecchio manto stradale; nel taglio e sradicamento delle radici senza danneggiare la pianta. Durante le lavorazioni un agronomo incaricato verificherà la stabilità delle piante soggette a tali interventi di bonifica. L’opera da eseguire, per garantire le migliori condizioni di sicurezza stradale, potrebbe provocare disagi temporanei per la circolazione per la presenza del cantiere nelle sedi stradali interessate.
L’intervento è previsto nel Piano degli investimenti 2022-2024 per un importo complessivo da parte dell’Amministrazione comunale di 250mila euro.
Per quanto riguarda Marina di Ravenna si procederà al completamento dell’intervento di manutenzione in viale Zara per un importo complessivo di 250mila euro. Il tratto interessato dai lavori, tra viale dei Mille a viale dei Pescatori, ha una lunghezza totale di 170 metri. La nuova geometria del viale prevede la realizzazione di aiuole, di una carreggiata per transito veicoli con larghezza costante di 3 metri e mezzo in conglomerato bituminoso, le fasce laterali per transito pedonale di larghezza variabile, anch’esse in conglomerato bituminoso. Il nuovo intervento impone un ridimensionamento delle aree di sosta delle auto rispetto alla situazione attuale, e una modifica della viabilità: senso unico tratto viale dei Mille – viale Bernardini direzione di marcia verso viale Bernardini; senso unico tratto viale dei Pescatori – viale Bernardini direzione di marcia verso viale Bernardini. È inoltre prevista la realizzazione di nuovo impianto di illuminazione su di un lato, con punti luce a led. Lunedì 13 inizieranno le indagini di stabilità e di valutazione dello stato fitosanitario dei pini, lunedì 27 inizieranno i lavori di riqualificazione.
La prima tappa termina in piazza Andrea Costa. Giovedì mattina la ripartenza per Roma da viale 2 Giugno
La 1000 Miglia arriva mercoledì 15 giugno a Cervia (da Ferrara, saltando il passaggio a Ravenna città, che verrà solo lambita sulla statale Adriatica), finale della prima tappa della manifestazione giunta alla 40esime edizione.
Parteciperà come ogni anno un grande numero di vetture d’epoca che nella serata del 15 giugno, dalle 20.30, percorreranno il centro di Milano Marittima e Cervia, arrivando in piazza Andrea Costa. Per ripartire la mattina del 16 giugno verso le ore 6 dal viale 2 Giugno alla volta di Roma.
L’arrivo della Mille Miglia sarà preceduto dalla sfilata delle auto Ferrari che dalle 18.30 arriveranno in Piazza Garibaldi.
«È un grande orgoglio per la città di Cervia essere anche quest’anno una tappa della corsa più bella del mondo – dichiara l’assessore allo Sport del Comune Michela Brunelli -. Un importante appuntamento sportivo di prestigio a livello nazionale ed internazionale che ci accompagna dal 2018, un evento storico elegante e affascinante che ha sempre visto tanto interesse e coinvolgimento da parte della città e dei suoi ospiti e che siamo orgogliosi di mantenere nel tempo».
La vittima è l’85enne “Tonino” Scardovi, di San Bernardino. Lascia moglie, due figli e i nipotini
Immagine di repertorio
Cordoglio a San Bernardino, dove abitava con la moglie, per la morte di Antonio Scardovi, detto “Tonino”, 85enne che ha perso la vita in un incidente avvenuto nel pomeriggio di ieri, mercoledì 8 giugno, sulla statale Romea, all’altezza del ristorante Ca’ del Pino.
L’anziano, a bordo di un’utilitaria, secondo quanto ricostruito finora dalle forze dell’ordine sarebbe stato centrato da un tir durante una manovra di inversione a U. Fermo in una piazzola a destra della carreggiata in direzione sud, Scardovi avrebbe infatti tentato di attraversare la statale per proseguire verso nord, quando è stato colpito dal camion. L’impatto è stato violento e l’auto è finita nel fosso. Per l’85enne non c’è stato niente da fare.
In pensione dopo una vita da bracciante agricolo, Scardovi (scrivono i quotidiani in edicola oggi), oltre alla moglie lascia due figli e i nipotini, con cui andava spesso nella casa al mare di Casal Borsetti.